A caccia di fantasmi

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I tre fantasmi

Nelle sue ricerche David Hume mette un discussione la nozione di causalità; ovvero l’idea che l’uomo ha di relazione causale, di come ad una causa A segua un certo effetto B.

Un’altra critica fondamentale del suo pensiero riguarda quella rivolta alla morale, in particolare la concezione della morale come qualcosa che venga insegnata o plasmata, che possiamo riassumere con: “non ci piace ciò che è bello ma è bello ciò che ci piace”. Ciò che critica Hume è l’idea che ci siano dei dogmi sempre veri che ogni essere umano sa e sente a prescindere, ovvero che per tutti bene e male significano la stessa cosa e che tutti sentano cioè che è bene e ciò che è male nello stesso modo (però se ci riflettiamo un attimo l’infanticidio dei bambini storpi nell’antica Grecia era accettato, oggi forse un po’ meno).

Infine, abbiamo la messa in discussione della nozione di Io, che Hume descrive in quanto “fascio di percezioni“, ovvero che quello che noi chiamiamo Io non sia altro che una semplificazione mentale. Questo Io non esiste in quanto blocco monolitico immutabile sempre identico a se stesso.

Questi tre aspetti, i nostri fantasmi, anche se di primo acchito potrebbe non sembrare, sono fortemente interconnessi.

Una verità fantastica

I tre fantasmi che abbia visto in precedenza aleggiano da sempre nel mondo e nell’educazione umana. Quasi ogni essere umano ha imparato a percepirsi come una unità, indivisibile e uguale nel tempo. Questione di stabilità, fiducia e affidabilità.

Come posso essere tranquillo nel mio rapporto col mondo e con gli altri se non credendo che niente possa cambiare? Se io non credo che il Sole torni a sorgere ancora il giorno successivo o che il mio amico non mi inganni o che il mio partner non mi tradisca, come posso vivere tranquillamente?

Un po’ come i pregiudizi, per quanto siano frutto di bias e possano essere errati, rimangono comunque necessari per poter vivere senza dover riprogrammare, rivalutare o ricalcolare le conseguenze delle proprie azioni.

Immaginare la verità

Il discorso è il seguente: l’uomo non può avere mai certezza assoluta che da una azione A segua un’azione B, però si affida sulla base dell’esperienza e dell’aver fatto più volte esperienza che da A segua B. Per esempio che il Sole sorge ogni giorno (il che non è vero perché è la Terra che ruota e non il Sole) o che un sasso lasciato a mezz’aria vada sempre verso il suolo (il che non è vero perché appena usciamo dall’atmosfera terrestre cambiano le forze e dunque anche la gravità), sono verità che servono all’uomo per vivere.

Per Hume la relazione causale esiste solo nella mente e non tra gli oggetti esterni. Questo perché, secondo lui, l’uomo nella sua vita cerca di dare ordine, e prevedibilità, alle esperienze che fa. E questo avviene secondo somiglianza, contiguità (nel tempo e nello spazio), abitudine.

Il problema non è che l’uomo si crea questi fantasmi, queste immagini o idee fantastiche per vivere, ma che dopo averle create si convinca che siano vere.

Spinoza, Hume e Nietzsche criticano tutti fortemente l’uomo che si inganna della verità dell’immaginazione, ovvero che credono vere le creazioni della mente umana scambiandole per la realtà. O se volete un’immagine più famosa, quello che Platone racconta col mito della caverna, dove gli uomini credono che le ombre che appaiono sulle mura della caverna di oggetti che sono illuminati dal fuoco siano gli oggetti stessi.

I fantasmi di Hume

I fantasmi di Hume ci dicono che noi creiamo tramite l’immaginazione le relazioni che costituiscono la nostra quotidianità. Se un amico, un collega, una persona è scortese con me una, due forse anche tre volte (anche se a volte basta la prima sola impressione) siano già sicuri che è vero che a quella persona stiamo antipatici o, ancora meglio, che quella persona “ce l’ha con noi”.

Ma come si uniscono e influenzano causalità, morale e Io?

Facciamo un passo alla volta.

Abbiamo detto che il fantasma della causalità ci convince che da A segua sempre e necessariamente B; il fantasma della morale che percepiamo sempre come bello ciò che, per verità eterna, è buono; il fantasma dell’Io che esiste una nostra essenza immutabile nell’esperienza e nel tempo della nostra esistenza che guida rigidamente il nostro essere nel mondo (“non posso farci niente io sono fatto così“).

Se è vero che l’uomo forma le relazioni causali tramite l’esperienza ripetuta, quello che è chiamato processo induttivo, allora è vero che la stessa idea o immagine che ogni uomo ha di sé, dell’Io, si forma tramite l’esperienza stessa. Segue un’altra cosa, ovvero che ognuno crea l’idea di bene e di male, di relazione morale, sempre sulla base delle proprie esperienze, tradizioni ed educazione.

Per Hume nessuno conosce la realtà così come è, ma conosce la realtà che crea e vive tramite la propria esperienza.

Il fantasma della trinità

Il fantasma che è uno e trino, che unisce ed esprime tutti e tre i fantasmi precedenti è quello del giudizio morale.

Giudicare qualcuno moralmente, quindi dare una valutazione valoriale, che significa affermare che una persona è fatta in un certo modo perché ha fatto una certa cosa.

Per semplificare mettiamo in atto un processo pericoloso, che però guida spesso le nostre intuizioni fantastiche: da un’azione, quello che riteniamo essere l’effetto, risaliamo alla verità della persona, quella che pensiamo sia la causa.

È lo stesso ragionamento che oggi viene fatto nelle affermazioni sull’orientamento sessuale. “Se tu che sei un ragazzo hai baciato un altro ragazzo allora sei omosessuale”, che un quanto ragionamento è identico a dire “se tu hai fatto del male allora sei un malvagio”.

A caccia della verità fantastica

Il problema è che crediamo che a partire da una sola esperienza, da un solo evento, di poter trovare la verità di una persona, è questo è possibile solo perché crediamo nei fantasmi tre fantasmi:

Il fantasma della causalità per creare le relazioni solide e immutabile che ci fa dire “se una persona fa A allora significa che è B”, come per l’orientamento sessuale (altra costruzione culturale); il fantasma dell’Io senza il quale non potremmo mai giudicare, d’altra parte come potremmo giudicare un qualcosa che non esiste? L’Io è creato dallo stesso giudizio morale; il fantasma della morale che permette di avere dei parametri sempre veri per valutare l’adeguatezza del comportamento delle persone all’idea vera che abbiamo di bene.

Siamo abituati a cacciare i fantasmi, siamo educati a cacciare i fantasmi, ovvero a giudicare le persone (e sopratutto noi stessi) a partire da ogni singola azione, fatto e parola; credendo che ogni piccola azione compiuta rivela la verità o l’anima buona-malvagia-etero-omo-gentile-scontrosa… della persona giudicata.

Siamo educati a cacciare una verità fantastica, crediamo che i fantasmi che abbiamo creato sono le persone con cui interagiamo, e ciò vale anche nel rapporto con noi stessi.

Non cacciare ma scacciare i fantasmi

I fantasmi (prodotto delli’immaginazione) esistono e ciò non è un problema, è un problema e un pericolo però quando vengono scambiato o creduti veri (il prodotto della ragione).

La soluzione al problema pertanto non sta nella cacciare questi fantasmi che ci perseguitano, ma nel scacciarli via. In altre parole, la soluzione sta nella sospensione del giudizio morale che significa semplicemente smettere di credere che ogni azione delle persone non siano altro che una mera confessione della loro essenza.

Detto brutalmente, se un ragazzo bacia un ragazzo non è né logicamente né necessariamente omosessuale, al massimo siete voi o lui che giudicate e credete che quel gesto debba esprimere la verità di quel ragazzo.


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9 risposte a “A caccia di fantasmi”

  1. Avatar Conoscenza e Libertà: L’insegnamento di Spinoza

    […] discorso non è per nulla differente rispetto a quello fatto nell’articolo dedicato ai fantasmi di Hume. La conoscenza oggettiva di cui parlano questi filosofi non è altro che il disinnescare […]

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  2. Avatar La donna (pura) – Get Back

    […] Per concludere ci ricolleghiamo ad un articolo passato: A caccia di fantasmi. […]

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  3. Avatar Fede e obbedienza – Get Back

    […] Questo discorso non è per nulla differente rispetto a quello fatto nell’articolo dedicato ai fantasmi di Hume. La conoscenza oggettiva di cui parlano questi filosofi non è altro che il disinnescare il […]

    "Mi piace"

  4. Avatar L’Uno – Get Back

    […] all’Uno la facoltà di governarli. Come avevamo visto, sempre nell’articolo dei fantasmi di Hume, una delle forme principali di schiavitù si trova nel pensiero […]

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  5. Avatar
    Anonimo

    All’età di 70 anni e non avendo mai studiato filosofia, sono rimasta affascinata da questa teoria di Hume. Mi vien da pensare questo (se ho capito bene): se veramente ci vivessimo come pensa Hume, non Ci sarebbero più fraintendimenti né sensi di colpa. Non avremmo più bisogno degli psicoterapeuti, ecc. ecc. Insomma vivremmo in un mondo … sospeso.

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    1. Avatar white jolly

      Penso che per Hume il senso di colpa possa nascere dal ritenere le proprie azioni in quanto causa della sofferenza altrui. Il che presuppone l’idea che l’altro sia quasi totalmente, e solamente, passivo rispetto a quello che gli accade.
      Spezzando la catena, ovviamente arriva più leggerezza.

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      1. Avatar
        Anonimo

        ah che bella la leggerezza!!

        Piace a 1 persona

  6. Avatar white jolly

    Qui è bene scindere la questione ovvero quella morale da quella legale. Un furto, così come un reato qualsiasi, non implica necessariamente una condanna morale. E soprattutto legalità e moralità non sono interconnessione necessariamente, se non per questioni culturali e principalmente di educazione.
    Diciamo che qui il discorso del distaccamento e l’oggettività ha a che fare più con una questione di disattivare “meccanismi” di pensiero che vengono imposti tramite la tradizione e la cultura.
    In un certo senso, Hume cerca di dirci che non dobbiamo dare per scontato che facendo esperienza di una successione di eventi non è detto che questi siano legati da nessi causali.
    È un modo per disinnescare anche i ragionamento “mistico-magici”, nonché la superstizione. Se un gatto nero attraversa la strada e poi mi accade qualcosa di male, questo non significa che i due eventi sono connessi. Eppure bisogna impararlo, bisogna educarsi a mettere in discussione ciò che sembra scontato.
    Ora, sperando di non essere uscito troppo dai binari, il punto non è tanto non giudicare “legalmente” qualcosa come errato e non denunciare. Bensì, la questione riguarda lo scindere l’atto, illegale o sanzionabile che sia, dal giudicare la persona che mo ha compiuto come “malvagio”.
    Non è accettare né giustificare ciò che accade, ma detto malamente ricordarsi del fatto che “un peccato non fanno peccatore” così come “una rondine non fa primavera”.
    Spero di non aver perso la bussola nella risposta.

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    1. Avatar white jolly

      Grazie a te per la curiosità e per la condivisione!

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