Principali riferimenti: Gv 3, 1-18
W: Bentornati e bentrovati a tutti e a te P.E. Com’è andata la tua settimana?
P: Bentrovato White Jolly, il tempo transita, e lo fa troppo velocemente: mi spaventa un po’. Capisco che alla tua età non faccia impressione, ma ho appena riposto il presepio e già siamo a maggio! Decisamente non si può sprecare.
Quindi, direi di dare avvio decisamente al nostro confronto.
Abbiamo – per così dire – concluso il nostro discorso sull’amore e vorrei proporti di tornare a riprendere una tua riflessione per imboccare una nuova strada.
W: Bene direi che possiamo incominciare, o meglio, continuare il nostro percorso su nuovi sentieri. Che mi proponi?
Il maestro deve ancora imparare

P: Ricordi quando parlavi dell’esigenza di una nuova nascita? Ne discute anche Gesù, in un incontro singolare di cui ci racconta l’evangelista Giovanni. Un po’ paradossalmente, visto che si parla di nascita, questa volta Gesù si confronta con un vecchio – è il suo interlocutore a definirsi così – maestro di Israele, un maestro della Scrittura naturalmente. Nicodemo: lo conosci?
W: Nicodemo l’ho già sentito anche più di una volta, però non ricordo bene chi sia. Facciamo che me lo ripresenti in breve anche per dare delle coordinate ai nostri lettori (stavolta li “uso” come scusa per la mia ignoranza).
P: Tu hai il talento per azzeccare le parole giuste. Proprio il tema della conoscenza e dell’ignoranza apre il dialogo. Che ne dici se riportiamo le battute iniziali del Vangelo?
W: Certo, eccole qua:
“1Vi era tra i farisei un uomo di nome Nicodèmo, uno dei capi dei Giudei. 2Costui andò da Gesù, di notte,[…]”
Gv 3, 1-2
P: Dai primi versetti abbiamo un’iniziale presentazione di questo personaggio. Personaggio anche secondo il nostro uso di questo termine: è una personalità, un capo e un maestro.
Appartiene alla setta (in senso positivo, potremmo dire “confraternita”) dei Farisei: quindi è un laico, non un sacerdote. Un osservante scrupoloso della Legge, un uomo di fede. Come ti dicevo – il testo lo chiarirà in seguito – è un vecchio, un anziano, come si dice con rispetto. Ma vecchio è una parola che mi piace: dice che è uno che ha imparato dalla vita, che si è formato delle convinzioni e le ha messe alla prova dell’esperienza: ha buttato la zavorra e tiene l’essenziale.
W: Gli antichi greci, come pure gli orientali (ma è così anche nelle tribù rurali dell’Africa, o in quelle della foresta equatoriale, oggi) consideravano la saggezza e la sapienza come due cose inseparabili fra loro. Insomma non potevi conoscere, senza sapere come agire correttamente. Il vecchio saggio infatti è quella persona che proprio in virtù della sua esperienza e della sua conoscenza sa come vivere bene o come provarci per lo meno. Non è possibile che ci sia un giovane saggio. Solo attraverso l’esperienza si può comprendere come vivere bene e quindi solo il vecchio può saperlo, mentre il giovane è “solo” in fase di sperimentazione (per questo motivo Confucio dice che bisogna rispettare ed ascoltare i più vecchi). Non che il vecchio non sperimenti più… Vecchio direi che è una bella parola, se usata con consapevolezza. Cosa ci dice di altro questo vecchio?
P: Prima di quanto dice, vorrei soffermarmi su ciò che fa: va da Gesù; “di notte”, specifica l’autore.
W:Sono incuriosito dal fatto che vada di notte. Provo a dare una lettura, anche se potrebbe essere molto fuori strada. Nella notte col buio l’uomo ha bisogno di una guida e qui mi sembra che Nicodemo, andando proprio di notte, riconosca in Gesù una stella, una guida da seguire.
P: Credo che ci sia molto di vero nella tua interpretazione. La notte è quando non si vede, hai bisogno di una luce e la cerchi per poter camminare. Forse nel suo percorso, Nicodemo percepisce anche il limite, sente il bisogno di un confronto. Poi magari c’è anche altro: Gesù non era molto amato dal gruppo di cui Nicodemo faceva parte, dall’Autorità del tempio. Può darsi che ci sia andato di notte – quando non ti vedono – anche per non compromettersi troppo. Infine, un maestro che va a “cercare lumi” da uno più giovane di lui, contraddice un po’ quello che tu affermavi prima. E’ disdicevole: che maestro sei se non sai?
E infatti Nicodemo ci appare un po’ ondivago. Va da Gesù a chiedere (nota che ci va: non è cosa da poco che sia lui ad andare dall’altro), ma si conserva un po’ di orgoglio. Proprio perché è vera l’annotazione che facevi circa il rapporto tra vecchi e giovani, mi pare che – almeno dalle prime battute del dialogo – porti con sé anche, in qualche modo, una consapevolezza di superiorità che gli permette di formulare giudizi, di dare patenti. Oppure ancora – scusami il ventaglio di ipotesi, ma anche noi siamo costretti ad andare a cercare la verità per tentativi: sempre che le diverse ipotesi non sussistano l’una accanto all’altra – proprio perché è al buio e in difficoltà nei confronti dell’interlocutore, ostenta una sicurezza che non ha.
Nascere di nuovo, ma dall’alto

Leggiamo ancora qualche versetto:
E gli disse: “Rabbì, sappiamo che sei venuto da Dio come maestro; nessuno infatti può compiere questi segni che tu compi, se Dio non è con lui”. 3Gli rispose Gesù: “In verità, in verità io ti dico, se uno non nasce dall’alto, non può vedere il regno di Dio”.
Gv 3, 2-3
P: Forse vuole anche cercare una mediazione. “Sappiamo” è una concessione generosa. Dice un po’ un riconoscimento: ti abbiamo valutato e riconosciamo i segni di Dio che porti. Non molto oltre, ma è già tanto. E però c’è anche il mettersi in cattedra – al suo posto, quello che pacificamente gli è riconosciuto dal ruolo che ricopre – e valutare l’altro in modo benevolo, forse persino un po’ paternalistico. Ma, come vedi, Gesù non pare intenzionato a rendergli la vita facile. Per quanto, secondo me, questo tizio gli stia simpatico. Forse sente quello che ancora non si vede: Nicodemo può camminare.
W: Va bene; ma a me intriga entrare nel discorso. Penso che un aspetto fondamentale sia quello che emerge dalle parole “nasce dall’alto”. Noi nasciamo dalla Terra: siamo esseri che vengono alla luce dal frutto della materia e ovviamente di tutti i processi naturali che ci sono dietro. Non voglio parlare di una metafisica (parolone che non ripeterò), bensì di un nuovo atteggiamento. Gesù non dice che ci sono degli eletti che possono accedere al regno di Dio, ma uomini che nascono dall’alto. Qui forse, riprendiamo in mano proprio il tema della rinascita che avevamo accennato qualche settimana fa. Questa nuova vita, per come l’ho intesa, consiste nel imparare a gestire la propria esistenza senza “lasciarsi vivere”.
P: Rinascere alla vita, senza lasciarsi vivere. Mi torna alla mente una preghiera canzone di Faletti in cui chiedeva che la morte, al suo arrivo, lo trovasse vivo. Questa prima intuizione che hai avuto ci aiuta ad enunciare qualcosa di quanto Gesù propone a questo uomo. Dio è un facile argomento di conversazione: chi ha un po’ di verve filosofica vi discetta con piacere; spesso anche chi dice di non credere è interessato a parlare di lui, anche solo per un confronto con un punto di vista diverso. Gesù ne fa una questione diversa, la porta sul piano esistenziale: conoscere Dio – vedere il suo regno – significa entrare in una pienezza di vita, non arricchire la propria erudizione. E bada bene: Nicodemo condivide la stessa idea: dobbiamo attenderci un giudeo onesto, retto, che vuole vivere della Legge del Signore. Ma rimane spiazzato dalla risposta di Gesù. Nelle tue parole ricorre la stessa ambivalenza del testo greco del Vangelo: Gesù dice che l’uomo deve rinascere “anothen”, un avverbio che si può tradurre sia con “dall’alto”, come anche “di nuovo”. Osserva la risposta dell’altro:
4Gli disse Nicodèmo: “Come può nascere un uomo quando è vecchio? Può forse entrare una seconda volta nel grembo di sua madre e rinascere?”.
Gv 3, 4
W: Evidentemente Nicodemo interpreta il termine esclusivamente come “di nuovo”. E rimane smarrito: sono arrivato sino a qui e dovrei ripartire da zero? Allora tutto quello che ho imparato non conta nulla? E poi: è possibile questa nuova ripartenza a questo punto?
P: Proprio così, e Gesù è costretto a chiarire le sue intenzioni:
5Rispose Gesù: “In verità, in verità io ti dico, se uno non nasce da acqua e Spirito, non può entrare nel regno di Dio. 6Quello che è nato dalla carne è carne, e quello che è nato dallo Spirito è Spirito. 7Non meravigliarti se ti ho detto: dovete nascere dall’alto. 8Il vento soffia dove vuole e ne senti la voce, ma non sai da dove viene né dove va: così è chiunque è nato dallo Spirito”.
Gv 3, 5-8
P: C’è sicuramente un confronto e uno scontro tra carne e Spirito. E tu l’interpretavi secondo la dottrina classica della liberazione dalle pulsioni e dagli istinti, come nella filosofia antica. Il pensiero stoico o figure eminenti come Seneca hanno influito in modo significativo anche sulla riflessione cristiana. Ti suggerisco un altro orizzonte, diciamo più biblico. Posso dilungarmi un attimo?
W: Certo, continua.
Per (ri)nascere bisogna morire(?)

P: Nel libro del Profeta Ezechiele (nel Primo Testamento: un giorno ti dico perché preferisco la dizione Primo Testamento a quella di Antico), ad un certo punto il profeta è chiamato da Dio a raccontare una visione al popolo: si trova in una valle immensa, interamente cosparsa di ossa. E il Signore chiede al profeta se quelle ossa potranno riprendere vita. Saggiamente, l’uomo risponde: “Signore, tu lo sai”. Bellissimo, no? La risposta ovvia sarebbe dovuta essere: certo che no; delle ossa putrefatte non hanno alcuna possibilità: a tutto c’è rimedio, tranne che alla morte. Ma il profeta sa che Dio non conosce l’impossibile. E infatti la risposta dell’Altissimo suona così:
“Profetizza su queste ossa e annuncia loro: “Ossa inaridite, udite la parola del Signore. Così dice il Signore Dio a queste ossa: Ecco, io faccio entrare in voi lo spirito e rivivrete. Metterò su di voi i nervi e farò crescere su di voi la carne, su di voi stenderò la pelle e infonderò in voi lo spirito e rivivrete. Saprete che io sono il Signore””.
Ez 37, 4-6
P: Naturalmente, la profezia non allude a una risurrezione fisica. Il popolo in esilio ormai si è arreso e ha abbandonato la speranza: Dio ci ha abbandonato (per i nostri peccati) e per noi non c’è più futuro.
E il Signore chiede al profeta di esplicitare la propria profezia:
Mi disse: “Figlio dell’uomo, queste ossa sono tutta la casa d’Israele. Ecco, essi vanno dicendo: “Le nostre ossa sono inaridite, la nostra speranza è svanita, noi siamo perduti”. 12Perciò profetizza e annuncia loro: “Così dice il Signore Dio: Ecco, io apro i vostri sepolcri, vi faccio uscire dalle vostre tombe, o popolo mio, e vi riconduco nella terra d’Israele. 13Riconoscerete che io sono il Signore, quando aprirò le vostre tombe e vi farò uscire dai vostri sepolcri, o popolo mio. 14Farò entrare in voi il mio spirito e rivivrete; vi farò riposare nella vostra terra. Saprete che io sono il Signore. L’ho detto e lo farò””.
Ez 37, 11-14
P: Ecco, mi pare che ci sia molta sintonia tra quanto Gesù dice al suo smarrito ascoltatore e la parola del profeta. Non è che bisogna abbandonare l’umano. Anzi è proprio questo, il mondo, il contesto in cui siamo chiamati a vivere. E non è che il mondo non ha nulla di buono, ma la sua prospettiva è limitata. Insufficiente al cuore dell’uomo, che può vivere solo dentro una comunione di eternità, una vita nuova, una risurrezione: che non sta solo dopo la morte. Alla fine della nostra discussione vorrò proporti il pensiero di un teologo del secolo scorso, morto nei campi di concentramento nazisti. L’offerta di Gesù è la medesima del profeta: lasciare che un Altro ci dia la vita. Non tanto – e in prima battuta – un’ascesi – quanto piuttosto l’apertura a un dono che viene dall’alto e che ci ri-genera.
Guarda la risposta di Nicodemo e le parole di Gesù:
9Gli replicò Nicodèmo: “Come può accadere questo?”. 10Gli rispose Gesù: “Tu sei maestro d’Israele e non conosci queste cose? 11In verità, in verità io ti dico: noi parliamo di ciò che sappiamo e testimoniamo ciò che abbiamo veduto; ma voi non accogliete la nostra testimonianza. 12Se vi ho parlato di cose della terra e non credete, come crederete se vi parlerò di cose del cielo? 13Nessuno è mai salito al cielo, se non colui che è disceso dal cielo, il Figlio dell’uomo. 14E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, 15perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna.
Gv 3, 9 -15
16Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. 17Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui.18”
Gv 3, 16-18
W: Vorrei soffermarmi giusto qualche riga sull’importanza della morte, che forse tratteremo meglio un’altra volta. Hai detto che alla morte non c’è rimedio, vero, in certi casi, ma è altrettanto vero che la morte è il rimedio per la vita molte volte. Cerco di spiegarmi meglio. Seneca dice “cotidie morimur”, ovvero “ogni giorno moriamo”. Pirandello ne Il fu Mattia Pascal ci dà giusto qualche esempio di morte, perché deve essere chiaro a tutti, la morte non è solo quella fisica della carne, ci sono tante morti differenti. Ma per essere più pignoli potremmo anche dire che la morte è il cambiamento.
Quando qualcuno o qualcosa cambia non è più sé stesso e quindi è morto e, per l’appunto, rinato o nato nuovamente.
Lucrezio nel suo De rerum natura dice che la vita di ogni essere vivente è possibile e si alimenta proprio dalla morte di qualcos’altro. Pensate banalmente a noi uomini che ci cibiamo di piante e animali per vivere. Ci nutriamo della vita altrui. La morte pertanto è essenziale alla vita e di conseguenza dobbiamo avere la coscienza che se vogliamo rinascere, per esempio per seguire l’insegnamento di Gesù, dobbiamo essere pronti a morire. Non ci sono mezzi termini in questo cammino.
P: Amico mio, apri un nuovo argomento così denso di variabili e così importante, che non possiamo evitare di affrontarlo. Ma per questo ci vorrà un nostro nuovo appuntamento. Permettimi quindi di chiudere con il testo promesso di Bonhoeffer. La prossima volta ti chiedo di ricominciare da dove ci siamo interrotti. A meno che tu non voglia commentare il testo del “martire” tedesco:
Redenzione significa redenzione dalle preoccupazioni, dalle pene, dalle paure, dalle nostalgie, dal peccato e dalla morte, in un al di là migliore. Ma sarebbe questo il punto essenziale dell’annuncio di Cristo contenuto nei vangeli e in Paolo? Lo nego. La speranza cristiana della resurrezione si distingue da quelle mitologiche per il fatto che essa rinvia gli uomini alla loro vita sulla terra in modo del tutto nuovo e ancora più forte che nell’Antico Testamento. Il cristiano non ha sempre un’ultima via di fuga dai compiti e dalle difficoltà terrene nell’eterno, come chi crede nei miti della redenzione, ma deve assaporare fino in fondo la vita terrena come ha fatto Cristo («mio Dio, perché mi hai abbandonato?») e solo così facendo il crocifisso e risorto è con lui ed egli è crocifisso e risorto con Cristo. L’aldiquà non deve essere soppresso prematuramente […]. Questa è conversione: non pensare anzitutto alle proprie tribolazioni, ai propri problemi, ai propri peccati, alle proprie angosce, ma lasciarsi trascinare con Gesù Cristo sulla sua strada nell’evento messianico della croce […]. La fede è prendere parte alla sofferenza di Dio nel mondo. Nessuna traccia di metodica religiosa, l’ “atto religioso” è sempre qualcosa di parziale, la fede è qualcosa di totale, un atto che impegna la vita. Gesù non chiama ad una nuova religione, ma alla vita […]. Il cristiano non è un uomo religioso, ma un uomo semplicemente, come Gesù era uomo […]. S’impara a credere solo nel piene essere-aldiquà della vita. Quando si è completamente rinunciato a fare qualcosa di noi stessi, un santo, un peccatore, un pentito o uomo di chiesa, un giusto o un ingiusto, un malato o un sano, e questo io chiamo essere-aldiquà, cioè vivere nella pienezza degli impegni, dei problemi, dei successi e degli insuccessi, delle esperienze, delle perplessità, allora ci si getta completamente nelle braccia di Dio, allora non si prendono più sul serio le proprie sofferenze, ma le sofferenze di Dio nel mondo, allora si veglia con Cristo nel Getsemani, e, io credo, questa è fede, questa è conversione e così si diventa uomini, si diventa cristiani. Perché dovremmo diventare spavaldi per i successi, o perdere la testa per gli insuccessi, quando nell’aldiquà della vita partecipiamo alla sofferenza di Dio?1.
[1] Dietrich Bonhoeffer, Resistenza e resa, lettere e appunti dal carcere, 1951 (postuma)
W: Le parole di Bonhoeffer sono molto importanti, perché mostrano quanto l’esempio di Cristo sia pratico. Il modello che ci offre è un insieme di pratiche che ci danno la possibilità di affrontare il quotidiano, non invece un atteggiamento di abbandono di sé stessi nell’attesa che qualche magico evento possa salvare, migliorare e cambiare la nostra esistenza. Possiamo dire che Gesù in un certo senso ci dice: “Aiutati, inizia ad aiutarti e sarai aiutato”.
Con queste ultime parole ti saluto e ringrazio per quest’altro profondo incontro. Buona settimana P.E. e a voi tutti lettori!
P: Buona settimana White Jolly!
DAI CONNETTIAMOCI!!!
Per questa nuova settimana vi lascio un nuovo esercizio, che non deve necessariamente sostituire i precedenti. Anzi integrarlo agli altri sarebbe la migliore soluzione.
Confucio diceva che ogni uomo dal più nobile al più meschino può essere un valido maestro. Ciò che ci permette di imparare, correggere e migliorare noi stessi è l’atteggiamento che adottiamo. Quasi ogni uomo e donna pensa che il proprio stile di vita sia quello giusto e critica il prossimo come inadatto o sbagliato. Bene proviamo a fare un piccolo sforzo e specchiamoci negli altri per aiutare noi e gli altri ad essere migliori e, si spera, più felici.
Maestro è colui che è in grado di imparare da ciò che insegna, pertanto deve essere sempre un po’ studente.
Quindi: riprendiamo ad imparare assieme!
Lascio il link per un mio vecchio articolo La (buona) sofferenza di vivere.



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