Principali riferimenti: Mt 22, 37-40; Lc 10, 25-37
P: Rieccoci al nostro appuntamento. Bentrovato, filosofo. Come è andato il tuo articolo?
W: Il primo articolo di questa avventura ha avuto un discreto successo, però è sembrato un po’ lungo e poco digeribile.
P: No. Sulla digestione nessun problema. Forse poco manducabile. Sei profondo e scrivi difficile. Suona quasi un “astenersi sfaccendati!”
Che poi, mica detto che se uno è sfaccendato non ha interessi.
E, a proposito di interessi, perché mi hai proposto di partire proprio da questo testo del Vangelo di Matteo?
Da dove abbiamo iniziato

W: Questo passo del Vangelo mi ha sempre affascinato e penso sia in un certo senso la sintesi perfetta per esprimere i molti concetti della buona vita che Gesù tenta di insegnarci. Per questo motivo mi è sembrato il primo gradino “necessario” per iniziare.
P: Sì, bene. Avevo colto anch’io una sintonia tra il progetto che ci siamo accinti a realizzare e quanto Gesù insegna nelle pagine che tu hai scelto all’inizio del cammino: una partenza in medias res, dicevano quando andavo a scuola io. Però, se andiamo a vedere il contesto di queste parole, sia nel testo di Matteo che hai scelto tu, sia nel parallelo di Luca (il capitolo 10, quello famoso per la storia del Buon Samaritano) scopriamo che non si tratta tanto di una “lezione” – non so, come nel discorso della montagna, dove il Signore (posso chiamarlo così, da credente, su un blog? In fondo, sono pur sempre un prete) spiega ai suoi ascoltatori la Legge di Dio “secondo Lui” – ma di una sorta di schermaglia tra professionisti della Bibbia. Anzi sono proprio questi che – dicono gli evangelisti: per saggiare un po’ Gesù, “per metterlo alla prova” – gli pongono la domanda su quale dei comandamenti dovesse avere una posizione di particolare rilievo:
“Maestro nella Legge, qual è il grande comandamento?”
Mt 22, 36
Beh sarà anche stato provocatorio, ma la domanda non è per nulla stupida, che ne dici?
W: Credo che spesso e volentieri le domande che sembrano banali in realtà siano semplici e questo comporta spesso la presenza di risposte inaspettate o addirittura un’assenza di parole. Non è facile rispondere alle domande dirette e semplici, d’altra parte è da sempre che esistono professionisti che “allungano il brodo” per evitare di dire qualcosa. La risposta di Gesù, invece è tutt’altro che piena di ghirigori. Vola dritta al punto declamando quello che è il grande comandamento che abbiamo già visto nel primo articolo. Ma penso che dovremmo scendere meglio nella scena e nell’ambiente nel quale Gesù risponde ai dottori della Legge. Tralasciare l’ambiente e tenere conto solo delle parole significa in un certo senso mozzare a metà il discorso del figlio di Dio.
P: Scusa se insisto nello spostare un po’ la tua attenzione. Ma più che il Figlio di Dio, ora vorrei guardare ai figli degli uomini che gli si parano innanzi e che provano a “esaminarlo”. L’intento – se ci spostiamo dalla prospettiva degli evangelisti, che ovviamente sono già “in squadra” con Gesù – non mi pare neppure così emendabile: si presenta un nuovo maestro sulla scena (in realtà c’è da un po’, ha dato prova di sé, ha compiuto gesti sensazionali; si è pronunciato più volte, anche in dissonanza con la tradizione più ortodossa), vediamo di che pasta è fatto.
Un centro di gravità… da cui partire

E, in questo senso – dicevo e ripeto – la domanda è ben pensata. Gli Ebrei avevano 613 leggi, comandamenti e norme; una congerie in cui è facile smarrirci. Il nostro anonimo interlocutore – preso sul serio nel suo interesse – è come se dicesse a Gesù: “cerco un centro di gravità permanente, che non mi faccia mai cambiare idea sulle cose, sulla gente!”, per dirla con Battiato. Dammi un punto sintetico da cui guardare a tutto il mio patrimonio religioso (forse lui ne aveva già uno) e interpretarlo come
“lampada per i miei passi e luce per il mio cammino”
Salmo 119
Una grande domanda. Non trovi? Non è anche quella che tu volevi trovare iniziando questo percorso?
W: Sì, vorrei trovare quel centro di gravità permanente, ma poter cambiare prospettiva non è così male dopotutto. Ma per questo cammino avere un’ancora a cui fare riferimento penso sia necessario per evitare di perderci in troppi discorsi ed ingarbugliarci.
P: Bravo. Ma a me la tua domanda – che è poi anche la mia e quella di questo fariseo che corre il rischio di mettere alla prova Gesù – interessa un sacco. Le domande sono importanti. Qualcuno ha detto che:
gli uomini (anche le donne) sono domande in cammino.
Se chiedi alla tua mamma, ti dirà che c’è stato un periodo della tua vita (più o meno attorno ai quattro anni) in cui non la smettevi mai di chiedere: “perché?”. La scienza, la filosofia – che ti piace tanto – ci sono proprio perché l’uomo non può fare a meno di porsi delle domande. Vero, poi la televisione, con le sue pubblicità, si prova a rinco … – ops – a rimbambirci facendoci credere che le risposte si trovino nelle cose. Ma i più pervicaci non mollano e continuano a cercare il senso (la direzione di marcia).
W: Fare domande è segno di essere attivi e di non subire passivamente la realtà. Hegel diceva che i bambini più intelligenti sono quelli che smontano i giocattoli, dopo averci giocato ovviamente. Allo stesso modo chi è intelligente, o chi è curioso, non cerca risposte, o meglio le cerca, ma dopo avere smontato il mondo proprio con le domande. Il nostro dottore della Legge, certo, ha provato a mettere alla prova Gesù con la sua domanda, ma chissà se invece non era piuttosto curioso di conoscere e sapere qualcosa di più. Mi spiego meglio: forse aveva in cuor suo anche solo il dubbio che l’uomo di fronte a lui fosse davvero il Cristo e allora quella domanda da un gesto di sfida potrebbe trasformarsi in una richiesta d’aiuto.
P: Grandioso. E difficile: domandare aiuto. Siamo tutti convinti che diventare grande significa essere in grado di fare da soli. In realtà – almeno secondo me – è proprio il contrario: è grande chi sa scegliere a chi porre le domande giuste. Ti porto via un momento dal nostro testo, per andare a trovarne uno che – proprio sulla questione della domanda – presenta qualche analogia. A un certo punto arriva da Gesù un tizio che lo interpella:
“Maestro, che cosa devo fare di buono
per ottenere la vita eterna?”
Mt 19,26
“Secondo Matteo – l’episodio c’è anche nei libri di Marco e Luca, ma Matteo è l’unico con questa annotazione – si tratta di un giovane. Qui la domanda è assolutamente sincera. E Marco ci dice anche perché la fa a Gesù. Nel suo testo, l’aggettivo buono non si lega al fare, ma a chi ha di fronte: “Maestro buono”, lo chiama. Buono, non solo come caratteristica morale, ma come giudizio. Tu sei – gli dice – un maestro cui vale la pena di fare le domande perché conosci davvero il segreto della vita, quella che la rende eterna. Piena, realizzata, autentica, insomma, “come Dio comanda”.
Può darsi davvero – come dici tu – che anche il nostro fariseo metta alla prova Gesù per vedere se è proprio lui il maestro buono, non uno dei tanti sedicenti intelligentoni che hanno capito tutto, che si trascinano dietro masse, che poi portano con loro giù dal dirupo.
Può darsi invece che sia disincantato come gli uomini del nostro tempo: le strade giuste non le sa nessuno. Hai letto Kafka? Una desolazione impressionante: la vita è come uno che cerca disperatamente la chiave del castello e, nonostante il suo impegno, non trova risposta e quando gli capita uno che gli dice la risposta, è così stanco che si addormenta e non la ascolta.
Ri-nascere (bambini)

W: Ci sono tante cose a cui vorrei controbattere e ci proverò scomodando un termine importante: quello di rinascita. Hai parlato di vita autentica e in generale di come il chiedere aiuto e il domandare sia necessario più che fondamentale per poterla raggiungere, o per lo meno avvicinarsi ad essa. Gesù dice proprio che per potere accedere al regno dei cieli bisogna essere dei bambini (Mt 18,3). Questo non significa altro che rinascere, ovvero essere nuovamente bambini. In questa seconda nascita però vi è una drastica differenza con la precedente: la volontà e la presa di coscienza. Nella seconda vita, o vita autentica o vita nel regno dei cieli, l’uomo decide di vivere e non viene invece gettato nel mondo (come direbbe Heidegger) contro ogni possibile volontà, anche perché l’uomo nasce senza essere interpellato sulla questione. Il farsi domande, ritengo sia un passaggio imprescindibile per poter, perlomeno, tentare di ritornare ad essere bambini. Forse, senza troppa certezza, il fariseo aveva aperto un piccolo spiraglio a questa nuova luce.
P: Naturalmente, non lo sappiamo. Nel Vangelo di Marco, siamo di fronte a un amichevole confronto di scuola su un argomento sicuramente intrigante: e Gesù lo conclude con un’affermazione di stima nei riguardi dell’interlocutore. Ma forse ci interessa anche meno. Forse possiamo metterci noi al suo posto e metterci con questo interesse. Può darsi davvero che le domande importanti della vita non debbano avere delle risposte? Che non ci sia nessuno in grado di porcele?
No, io le mie risposte me le cerco da solo, me le do da solo. Io mi faccio con le mie mani!
La sento già questa obiezione salire. Hai in mente la statua alla Saint Louis University (Self Made Man) con un uomo che, scappello e tra le mani, si cava fuori dal blocco di pietra che lo imprigiona: io sono l’artista della mia vita.
C’è del vero, ma non è tutto: noi siamo sempre il frutto. E’ l’origine che ci genera, come il papà e la mamma che ci hanno dato vita, non lo fa per tenerci vita. Ma il volo che si spicca è dentro una comunione. Per dirla, con il passo del Vangelo che hai citato tu: è quando ritorni bambino, nel senso di Gesù, che puoi fare cose grandi.
Se non hai troppo fretta, per questa settimana, la potremmo anche chiudere qui. Magari lasciandoci (e proponendo anche ai nostri lettori) il “compito” di interrogarci un po’ sulle domande che ci portiamo dentro, sugli interrogativi fondamentali della nostra vita – quale che sia l’età che abbiamo: tra qualche tempo, potremmo riprendere anche la storia della rinascita, di cui hai parlato prima, che anche Gesù offre come prospettiva, questa volta a un vecchio) – e che vorremmo avessero una risposta. Oppure chiederci se abbiamo abbandonato la speranza di un senso e ormai, sopravvivere è tutto quello che si può sperare (o temere). Che ne dici?
W: Prima di salutarci, vorrei lasciare questa breve riflessione proprio sulla rinascita:
tornare bambini significa lasciare ogni difesa, abbandonarsi a qualcuno, quindi affidarsi, fidarsi e avere fede in qualcosa o qualcuno.
P: Che aggiungere d’altro? Buona settimana White Jolly!
W: Buona settimana P.E.
DI SEGUITO TROVATE DEGLI STRUMENTI INTERATTIVI: DAI CONNETTIAMOCI!!!
Lascio un esercizio da fare con delle istruzioni precise. Se non volete rispettarle vi sconsiglio vivamente di farlo.
Istruzioni

1) Fatelo quando volete e non quando potete. Non deve essere una commissione da sbrigarsi e da togliersi di torno. Fatelo solo se volete dedicarvi del tempo a voi stessi come cura per voi stessi.
2) Fatelo da soli, dev’essere un confronto con voi stessi, siete voi il vostro giudice e il vostro imputato. No, le coppie non posso farlo assieme.
3) Usare carta e penna, dovete scrivere domande e risposte. Niente telefono o dispositivi che possono interrompervi.
4) Dovete parlare a voce alta. Dovete sentire quello che dite e avere il coraggio di dire e di sentire quello che avete dentro.
Se siete soli, volenterosi, con carta, penna e voce da vendere, allora iniziate pure!
- Perché vivo?
- Quale è il mio stile di vita? Come sto vivendo?
Dopo aver risposto e meditato sulle domande precedenti, vi invito a guardare tutti un film, così da arrivare freschi per la prossima settimana. Il film si chiama Soul.



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