No, non farò nessuna discussione teologica o ideologica, né una lettura della tradizione cristiana, né tantomeno di altre dottrine religiose in senso stretto.
Il “Dio” di cui voglio parlare è di quel qualcosa, di una “x”, una incognita, che ci fa sentire legati col mondo. Di un ignoto che ci rassicura, che sentiamo essere presente. Per ignoto, intendo un qualcosa che non è comprensibile, né definibile con la nostra ragione, che continua a sfuggirci. Non importa che questo sia Dio come Assoluto, come Natura, come Allah, come Armonia… Quello che importa è che “sia”, che per noi esista.
Cerchiamo di comprendere cosa significa credere in Dio, usando un esempio negativo, quindi mostrando la condizione della perdita o dell’assenza di Dio.
Parentesi necessaria: bisogna stare attenti a non fare coincidere la perdita di Dio con l’ateismo, perché son due situazioni completamente differenti. La perdita di Dio contrassegna un sentimento di smarrimento e di incertezze sulla e nella vita e sul suo significato. L’ateismo invece consiste nell’atteggiamento di negazione della presenza, o esistenza, di un qualsiasi Dio. Negando Dio, ovvero una logica, si nega un disegno intelligente che sostiene e guida il mondo, si va di conseguenza ad affermare un caos. L’assenza dell’ordine. Dunque nel volersi affermare come atei, ci si afferma, in realtà, come credenti nel “Dio nulla” o nel “Dio caos”. Di fatto l’ateismo è una forma di credenza “negativa”.
“Nel mezzo del cammin di nostra vita/ Mi ritrovai per una selva oscura/ Che la diritta via era smarrita.” Così Dante apre la sua immensa opera, la Divina Commedia, e così Dante vuole esprimere quel sentimento di smarrimento, di perdita di Dio.
Ecco cosa bisogna tenere a mente: Dante si trova, smarrito, in una selva oscura, da solo, senza sapere come ci sia arrivato.
È importante focalizzarsi sul fatto che Dante non sappia perché e come sia arrivato nella selva, oltre al fatto che non sappia dove debba andare. Questo significa che la vita del poeta ha perso di significato e di una continuità. Dante, inoltre si trova “nel mezzo” del suo percorso, altro fatto che ci fa comprendere che questo smarrimento è avvenuto repentinamente, come un fulmine a ciel sereno. Ma perché? Un indizio lo abbiamo: c’è l’assenza di luce. Senza di essa Dante non può in nessun modo orientarsi nel presente, come nel passato, così nel futuro. Non sa da dove viene e dove deve andare. Perdendo la luce dunque, la sua vita perde senso e forma. Capiamo così che la luce è ciò che ci modella la vita. Qui abbiamo un passo ulteriore, senza luce Dante ha perso anche la “diritta via”.
Smarrire la “diritta via”, ovvero la logica e il significato della vita, è conseguente alla perdita della luce, quindi di Dio. Da questo si comprende che quello che noi chiamiamo “Dio”: l’insieme del significato e della struttura della nostra esistenza. Credere in Dio, avere un credo riguardo all’esistenza, dunque, consiste nel possedere un percorso, una “diritta via”, entro la quale noi camminiamo. Piccola nota: qui non si parla della via “giusta” o “corretta”, bensì dell’importanza di avere un qualsiasi percorso, per far sì che la vita non sia una mera notte informe.
Attraverso e dentro ciò che noi chiamiamo “Dio”, dunque, noi troviamo una ragione, un significato ed un collante che ci mostra una logica della vita. Dio è la luce, nel senso che è ciò che ci indica un percorso nel quale troviamo una ragione per vivere e di vivere. Avendo un senso, inoltre non ci sentiamo soli, bensì uniti col mondo in un progetto comune.
Perché Dio?
Perché è la luce di cui abbiamo bisogno per uscire e per non cadere nella selva oscura dell’esistenza. abbiamo bisogno di non sentirci abbandonati nell’avventura della vita, e a volte pure un “nulla” è quello che ci serve.



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