Fiducia, una parola che sentiamo spesso, una parola che sembra necessariamente essere parte della nostra vita. D’altra parte come potrebbe essere una vita senza fiducia? Presumo sia una vita fatta di ansia e dolore, caratterizzata da una costante paura del prossimo e del futuro, ma comunque una vita possibile. Se non ci fidiamo siamo necessariamente diffidenti, dunque sempre carichi di un sentimento di incertezza.
Eppure, spesso, rimaniamo feriti, in particolar modo quando ci fidiamo. “Mi fidavo di te” o “come hai potuto farlo?”, sono per così dire quelle urla di dolore e denuncia di una fiducia che si è infranta, come se qualcuno non avesse rispettato un patto.
Cosa significa quel “mi fidavo <di te>” e soprattutto “come hai potuto farlo?”? Sembra che nel nucleo di queste espressioni emerga un lato della fiducia che in realtà non è altro che l’aspettativa. Nel momento in cui noi diciamo di fidarci di qualcuno sembra che ci creiamo uno schema di quella persona, o identità, alla quale la persona è tenuta e obbligata ad attenersi per far sì che rispetti la nostra fiducia nei suoi confronti. Fondamentalmente, dunque, una persona per non infrangere questo “patto” non può cambiare e deve sottostare ad una immagine di sé, che le viene imposta da noi. Ovvero è nostro schiavo.
O siamo noi gli schiavi? Epitteto, filosofo stoico del I-II secolo d.C., scrive nel suo <Manuale>, in greco <Enchiridion>, che le aspettative, o rappresentazioni, son l’origine del nostro dolore e dunque della nostra schiavitù. Epitteto divide il mondo sotto due aspetti: uno è quello che riguarda ciò che abbiamo in nostro potere, l’altro è ciò che non è in nostro potere. In breve quello che possiamo controllare sono le nostre reazioni nei confronti del mondo dunque pensieri e <pulsioni mentali>. Quello che non controlliamo è tutto il resto, compreso il nostro corpo, la nostra fama, la nostra reputazione e così via. Le aspettative dunque sono immagini che non rispecchiano la realtà, sono un tentare di controllare ciò che oltre il nostro potere. Dunque nel momento in cui abbiamo fiducia di una persona, ovvero ci aspettiamo determinati comportamenti, e questa non le rispetta, ecco che emerge il dolore. Questo dolore non è altro che la rottura dell’illusione del nostro potere sul mondo. Il tradimento, di qualsiasi natura esso sia, ci ricorda della libertà del mondo, dunque della nostra impotenza. Per questo soffriamo.
La fiducia dunque, per essere tale, deve svincolarsi da ogni pretesa e da ogni aspettativa, perché più cerchi di controllare il mondo e più questo si ribellerà. La fiducia che tutti predicano non deve consistere in una stima, intesa come valutazione, determinazione e definizione del prossimo; bensì deve consistere in un af-fidarsi. Affidarsi, ovvero consegnarsi all’altro senza pretese. Per riuscire a liberarci dalla sofferenza, bisogna prima liberare il mondo, il prossimo dalle nostre pretese, o aspettative. In poche parole l’unico schiavo, l’unico a soffrire, è chi pensa di essere un padrone.
P.S. nella sezione “Informazioni” trovate i giorni di pubblicazione e i loro contenuti.


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