L’Uno

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Il fascino dell’Uno

«Questo arcano – il “fascino dell’Uno” – [… è un postulato politico che ci dice che] l’asservimento di una massa non si può ottenere esclusivamente con la forza, la violenza o il terrore. Né, per converso, esiste un dominio talmente pervasivo da saturare di sé, contro la volontà dei soggetti, l’intera società. […] Perché il potere di chi governa origina sempre da un “dono”, da una compiacente concessione dei sudditi»[1].

Il potere di chi governa è un dono dei sudditi. Come abbiamo visto nella puntata podcast di sabato, La Boétie espone e riconosce nell’asservimento volontario l’origine del potere dei “colossi”. Non è l’Uno che governa, ma sono i sudditi che si fanno governare. Sono i sudditi che volontariamente donano tramite concessione all’Uno la facoltà di governarli. Come avevamo visto, sempre nell’articolo dei fantasmi di Hume, una delle forme principali di schiavitù si trova nel pensiero magico.

Se l’Uno non avesse qualità eccezzionali non potrebbe ricevere il dono del governo da parte dei sudditi. L’attrazione non è dettata dal terrore, ma dal fascino e dal riconoscimento della superiorità magica, divina e straordinaria di questo arcano. Questo meccanismo è presente in ogni epoca.

Da Costantino che si faceva depilare completamente e cospargere di oli per sembrare luminoso-divino a Mussolini che si faceva rappresentare come un superuomo.

Da il Grande Fratello di Orwell e da il Mago di Oz, si può comprendere che il fascino del Uno consiste anche, se non essenzialmente e solamente, nel non mostrarsi. Soprattutto, nel non mostrarsi nudi, ma sempre mascherati. Il potere del tiranno è sempre mediato dal fascino e da un travestimento.

Il mistero d’altra parte alimenta il pensiero magico, mette in moto l’immaginazione e non la ragione. Così si può arrivare, assieme a tutti i meccanismi di comodità e di favori politici, a vedere un popolo cedere volontariemente la sovranità ad un omuncolo qualsiasi.

La tirannia e l’egemonia del tiranno è sempre frutto di una scelta volontaria dei sudditi. Non è mai una prova di forza. Per lo meno non lo è mai nelle fasi embrionali.

Fede e obbedienza

«Infatti la fede si pone necessariamente quando si ponga l’obbedienza [… e] richiede dogmi non tanto veri, quanto pii, cioè capaci di spingere l’animo all’obbedienza»[2].

Se qualcosa non può essere conosciuta, allora può solo essere immaginata. Se può essere solo immaginata, allora c’è solo fede nell’esistenza di quella cosa. E se c’è solo fede, allora c’è obbedienza. Se qualcosa non può essere conosciuta, magari anche perché volontariamente occultata, significa che le uniche fonti che abbiamo è l’immaginazione e non l’esperienza guidata dalla razionalità. E, pertanto, possiamo solo averne un’idea veicolata dall’immaginazione che è stimolata dai racconti degli altri. Racconti che non possiamo verificare e a cui non possiamo fare altro che crederci o meno. Se ci crediamo allora signifca che abbiamo fede, ergo facciamo sì che la nostra immaginazione crei delle idee sul mondo determinata dalle perole altrui.

Tutto ciò, solitamente, consiste nell’invezione di un pericolo o di un nemico che minaccia l’esistenza di una comunità. Diavoli, demoni, streghe, spiriti, razze, alieni…

Dominare una comunità mossa non dalla ragione, ma dall’immaginazione è molto facile. E ciò avviene più facilmente se si crea il fascino e la paura di un nemico che non può essere visto.

Spinoza riconosce nell’immaginazione pura scissa dalla ragione e dall’esperienza sensibile, lo strumento principale che viene sfruttato e usato per poter controllare le persone.

Ne Il nome della rosa di Umberto Eco vediamo come la biblioteca, luogo di conoscenza razionale che combatte gli “spiriti” dell’immaginazione, viene resa impenetrabile ai curiosi tramite giochi di immaginazione. Si sfrutta l’ignoranza per far credere, tramite inganni ed effetti, che la biblioteca sia abitata da spettri e che sia protetta da maledizioni per i curiosi. Il protagonista Guglielmo da Barskeville riesce ad eludere le difese e le minacce usando la ragione. Ovvero, annientando gli effetti dell’immaginazione che davano vita a spettri e a mostri.

Guglielmo non obbedisce perché si affida alla ragione, rifiutando di farsi guidare dalla mera immaginazione, rifiutando così una fede per i fantasmi e cercando una conoscenza della realtà.

Disincanto della ragione

La Boétie e Spinoza ci avvertono di come l’immaginazione possa essere usata e sfruttata politicamente per creare consenso e soprattutto obbedienza. Un asservimento volontario.

Soprattutto ci mostrano quanto sia comodo e utile lasciare la popolazione ignorante. In America, con Trump, stiamo assistendo ad una lotta contro la ricerca e ad un rafforzamento della disinformazione. Make America Great Again. Il fascino dell’uomo forte che risolve i problemi e risolleva una nazione vendicandola per i torti, immaginari, subiti da secoli.

La ragione, la conoscenza e la ricerca sono i principali strumenti che rendono libera una nazione, un popolo, una comunità.

Non appena vengono attaccate e disincentivate bisognerebbe capire velocemente quale sia la direzione che il governo vuole intraprendere.

Un popolo che immagina (ignorante) e non ragiona è sempre comodo.


[1] E. De La Boétie, Discorso della servitù volontaria, Universale Economica Feltrinelli, Milano, 2024, p. 15.

[2] B. Spinoza, Etica, Trattato teologico-politico, UTET, Milano, 2017, p. 624.

U. Eco, Il nome della rosa.


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