The Truman Show è un film dai toni comici e leggeri che però riesce a rappresentare con cura ed estrema efficacia una dei miti più iconici ed antichi della storia europea: il mito della caverna di Platone.
Il legame è evidente anche se ovviamente mostra alcune discrepanze, ma anche se con dinamiche differenti il mostro caro Truman (“uomo vero”) incarna il filosofo che si libera dalle catene dell’ignoranza e dell’illusione fuggendo dal mondo di spettri che lo circondava. Il nucleo essenziale del film si manifesta con semplicità, banalità e leggerezza sconvolgenti che spesso lo fa passare in secondo piano se non addirittura inosservato ed è giusto che sia così, perché altrimenti non conserverebbe la potenza significativa che gli spetta.
Una vita sotto i riflettori

Truman è il protagonista di uno show televisivo che si intitola proprio: The Truman Show. Iniziato proprio dal periodo di gravidanza in cui stava ancora formandosi dovrebbero continuare sino al suo decesso. Christof, il creatore, si trova in forte analogia con l‘architetto di Matrix, poiché gestisce e programma l’ambiente, le relazioni e gli sviluppi della vita del nostro Truman.
Non a caso Christof e lo studio di controllo osservano e gestiscono lo show dalla Luna e dal Sole. In questo modo danno luce, un dimensione di verità, alla realtà finta e costruita per sembrare reale.
Ogni movimento, per certi versi anche pensiero, del protagonista sono sotto riflettori, ovvero oggetto di uno spettatore esterno che non sia dunque Truman stesso. Possiamo dunque vedere come la finzione e la vita illusoria creata da Christof si sviluppi su due piani distinti ma uguali per menzogna. Il velo di Maya si poggia tanto su Truman quanto sullo spettatore: il primo vive all’interno di una realtà fittizia che lo obbliga ad adattarsi e a credere ad esse come la vera dimensione del reale, poiché è l’unica realtà che conosce; i secondi, gli spettatori, invece si fanno inghiottire e vogliono essere inghiottito dalla funzione dello show e crederlo come reale e veritiero. Il fatto che Truman sia vero e agisca con sincerità (“senza cera” – “senza veli”) non significa dunque che tutto quanto sia vero. La sincerità di un solo individuo non è sufficiente per trasformare né redimere la finzione di un mondo di carta e riflettori.
Nel finale Christof cerca di convincere Truman di rimanere nello show, di non fuggire via. Truman chiede al creatore se tutto quello che lui abbia vissuto non fosse stato altro che una menzogna. Gli viene risposto che uscendo nel mondo reale non troverà più verità né finzione di quanto ce ne sia nella realtà che gli è stata creata apposta per lui.
Proprio nel successivo passaggio troviamo la più cruda e nitida rappresentazione di tale finzione che rende la realtà vera imprigionata in un mondo di ombre riflesse.
Un Cristo o un Socrate non sono sufficienti per salvare il mondo, forse a malapena sono sufficienti a salvare loro stessi, se nessuno li segue con convinzione della verità. Truman non verrà seguito da nessuno, a parte da una sola persona.

Si capisce dunque che tra Truman e i telespettatori non c’è mai stato alcuna vera partecipazione se non un passivo osservare e sognare di essere come Truman: sotto telecamera e riflettori. I veri protagonisti che dovevano uscire e liberarsi dalla oppressione erano i telespettatori e non Truman.
I poveri osservatori dopo che Truman, la loro controparte televisiva, riesce a liberarsi e sfondare il cielo di carta sotto il quale viveva rimangono inermi sotto l’oppio della finzione. Rimangono fermi e cambiano canale, cercano una nuova illusioni e proiezioni di sé nel quale trasferirsi, alienarsi e tramite cui sognare la propria vita.
Nel processo di risveglio e di rivelazione della falsità della vita di Truman, che egli stesso compie con gli spettatori, rimane però solo e non accompagnato. Nonostante Truman sia la controparte dello spettatore, quest’ultimo si distacca da lui, e col proprio vero sé, esattamente quando Truman diventa vero, quando esce dal mondo di carta.
Il rapporto tra l’arte, finzione, e la verità

Quando Platone si trova alle prese con l’arte e con i poeti (ovvero coloro che creano, quindi artisti nel senso moderno) ne La Repubblica decide che loro devono essere banditi dalla città ideale. La motivazione è che loro sono pericolosi per la società poiché tramite le loro arti creano oggetti che si allontanano sempre di più dalla verità oscurando e confondendo le menti dei cittadini.
Il filosofo ateniese ritiene che ci siano tre livelli di verità:
il primo è quello del piano delle Idee, ovvero delle forme essenziali a cui ogni ente tende ed imita. Siamo dunque nel regno delle idee o del mondo intellegibile. Per esempio ogni uomo è uomo perché imita e tende alla forma dell’uomo, alla sua essenza, e più riesce ad imitarla e più diventa uomo. L’esistenza della Idee in quanto forme essenziali che “modellano” e ordinano gli enti è l’unico presupposto e l’unica spiegazione dell’esistenza di tanti oggetti simili, ma pur sempre differenti tra loro. Ogni uomo è simile all’uomo in quanto partecipe all’idea di uomo, ma differisce dagli altri uomini proprio perché non è l’idea stessa di uomo, ma solamente un’imitazione di essa. La verità che caratterizza le Idee è dovuta dalla loro immutabilità, il che permette di fondare su di esse e a partire da essere una conoscenza universale e certa.
Il secondo piano è quello degli enti sensibili, il regno delle cose o mondo sensibile. Se il primo livello di verità è quello dell’idea di uomo (perfezione), il secondo sarà quello degli enti imperfetti ovvero degli uomini in carne ed ossa. Il grado di verità o di perfezione dipende da quanto l’ente sensibile sia partecipe all’idea intellegibile. Tutto ciò che appartiene al mondo sensibile è conoscibile solo attraverso i sensi che a differenza dell’intelletto e della ragione sono parte di un mondo mutevole ed imperfetto e dunque non affidabili per una conoscenza universale. Conoscere un uomo non implica conoscere tutti gli uomini o come tutti gli uomini sono fatti. È vero invece che se si conosce l’idea di uomo si possono conoscere tutti gli uomini. Secondo Platone dunque la realtà sensibile non è sufficiente per costruire una conoscenza sicura, ma nonostante ciò è il primo gradino per poter tendere e raggiungere le Idee, dunque la verità.
Il terzo piano di verità, quello dell’arte, sarebbe più da definire come il secondo gradino di distanza dal vero. Per Platone il mondo che emerge dall’attività artistica è semplicemente un allontanamento dalla verità e non un’altra dimensione del vero come è il mondo sensibile. L’arte manipola le percezioni sensibili, della “conoscenza” sensibile, creando a partire da questa nuovi enti ed immagini. Manipolando ciò che è già imperfetto non può che produrre solamente qualcosa che è essenzialmente falso ed illusorio.
Ed è proprio su questo piano che si situa il mondo di Truman, il mondo che vede e a cui partecipa lo spettatore. La partecipazione di cui si parla è proprio quella platonica, ovvero quell’atto tramite cui il mondo sensibile si lega e si relazione col mondo ideale e grazie al quale esiste in quanto tale. Lo spettatore partecipando al mondo televisivo, artistico, di Truman si corrompe perché modella e fonda la propria vita e i propri modelli su una finzione. Lo spettatore al pari dell’uomo incatenato nella caverna guarda lo show, la televisione in generale, così come il prigioniero ingenuo guarda le ombre proiettate sul muro.
E quando guardi a lungo in un abisso, anche l’abisso ti guarda dentro.

Christof è riuscito a creare un mondo fittizio che si è esteso all’infuori di quello stesso mondo, non solo nel set, ma anche nelle case e nelle menti degli spettatori.
Lo spettatore ingenuo che segue dal salotto, dalla vasca da bagno, dal bar… le vicende di Truman pian piano viene anch’esso visto dallo stesso abisso che sta osservando, trasformandosi nell’abisso stesso. La loro vita da osservatori diventa un’estensione dello show e come parassiti non sono più in grado di esistere senza il corpo che hanno invaso. La propria vita non è più sufficiente perché vuota di significato, significato che è stato tutto riversato nello show, nelle ombre, che si vive e a cui si partecipa.
La realtà è un miscuglio tra verità e finzione e mai l’una o l’altra cosa sola. Anche nel quotidiano viviamo continuamente questo rapporto tra verità e finzione, besta pensare alla comunicazione verbale. Quando raccontiamo qualcosa stiamo traducendo un evento in suoni e parole. Ovviamente nessuno direbbe mai che quello che diciamo è esattamente quello che è successo, eppure lo pensiamo davvero. Il racconto di un incontro avvenuto il giorno scorso non è l’incontro stesso e senza alcun dubbio il racconto conterrà degli aspetti, giudizi e particolari soggettivi che modificano l’evento, rendendolo così un misto di verità e finzione. (Anche per questo motivo Platone non poteva ricondurre alla dimensione sensibile la verità, bensì solamente nella dimensione intellegibile, quindi quella riservata all’intelletto che sfugge alle parole e al dialogo.)
Il problema emerge dunque non tanto dalla presenza della finzione, ma soprattutto da un’eccessiva presenza di essa. O meglio, quando la finzione non è più un veicolo tramite cui si esprime la verità, ma quando la verità diventa un doppione della finzione. Come nel caso del Truman Show. La storia è vera e creduta vera solamente perché la finzione, che è l’essenza dello show, viene creduta come la verità. Gli spettatori accettano di ingannarsi e di essere ingannati credendo che tutto quello che avviene sia frutto della genuinità, per lo meno di Truman. Ed è proprio a quella genuinità che loro stessi partecipano con altrettanta genuinità. Lo stupore per le reazioni di Truman, la gioia per i suoi successi, il dolore per la perdita del padre, la curiosità per i suoi desideri e le risate per i suoi momenti allo specchio nel bagno. Proprio con queste reazioni gli spettatori diventano lo show stesso, entrano nello show e perdono la loro verità in quanto persone e si trasformano in attori osservanti.
Verità fatta finzione
Truman, l’uomo vero, per lo spettatore è una finzione come un’altra che ha valore solo quando rimane finzione. Christof anche se non intacca la verità di Truman in quanto uomo, manipolando ad arte tutto ciò che riguarda il protagonista, anche se solo accidentalmente, lo trasforma in oggetto artistico e dunque anch’esso menzognero. Non a caso molti gesti e parole di Truman sono estremamente teatrali, come il saluto iconico che ogni mattina ripete come una robot.
Anche se sincere sono artistiche e dunque lontane da una naturale espressività. Proprio per questo motivo quando Truman diventa vero uscendo dal set perde tutto il suo valore, perché per l’uomo incatenato, per lo spettatore della vita la verità è un fantasma mentre la menzogna la propria verità.
Il sacrificio finale di Truman che esce dallo show, liberandosi dalle catene della menzogna, viene visto dagli spettatori come una semplice e banale scena di un canovaccio scritto ed interpretato. Solo per Truman e per chi ha messo in scena e creato quel mondo riesce a cogliere la potenza del gesto compiuto dal protagonista, ovvero chi è già libero dalle catene. In questa parte conclusiva abbiamo un rovesciamento non di poco conto: Truman agisce con verità in un mondo finto, mentre gli spettatori agiscono teatralmente in un mondo vero. L’allegria per la liberazione di Truman è frutto di una interpretazione incosciente che, coerentemente, si esaurisce con la fine dello show stesso.
Il vero finale, nonché il nucleo essenziale della storia, di The Truman Show si consuma in non appena cinque secondi con un dialogo scarno, ripetitivo, povero e ingenuo che racchiude tutto il senso del film: “-che danno adesso? -sì vediamo che danno adesso. -dov’è la guida tv?”. L’uomo ha bisogno e vuole distrazioni o non è capace di di viverne senza, dunque cerca continuamente nuovi idoli con cui ingannarsi per oscurare la verità ed affrontarla. Ma non è nemmeno solamente questo il senso. Oltre ciò bisogna ammettere che con questo film viene messo a nudo la debolezza e la fragilità dell’uomo nel cadere in inganno e nel farsi ingannare. Christof come un burattinaio non ha solamente ingabbiato Truman in un mondo di cartone, bensì tutti gli spettatori, soprattutto quelli che concluso lo show sentono la necessità di trovare un nuovo mondo nel quale rifugiarsi. E oggigiorno la situazione è addirittura peggiorata se osserviamo il fenomeno dei social media dove milioni, se non miliardi, di persone cercano di creare una nuova falsa vita per sfuggire a sé stessi.



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