Non serve parlarne
Non ho potuto non scrivere nulla a proposito. Un’avventura di Lucio Battisti è una canzone straordinaria che similmente a Something, dei The Beatles scritta da George Harrison, racconta, dipinge e dichiara un amore concreto, leggero e sincero senza mai dire “ti amo” o, per George, “I love you“.
Sembra un particolare stupido, forse banale, eppure il fatto di riuscire a non mettere la diretta dichiarazione d’amore all’amata, ma farlo intendere ed esprimerlo senza equivoci è qualcosa di straordinario.
Per certi versi potremmo dire che l’uomo parla perché non riesce a farsi capire, o meglio, l’uomo parla o cerca di parlare di quello che non riesce ad esprimere in altro modo. Ipotesi più che discutibile, ma che per il nostro discorso tiene una sua verità nonché una sua fondatezza. Dichiarare il proprio amore, che sia verso sé tanto quanto verso un’altra persona, è necessario quando ciò non è chiaro o ancora occulto. Il bisogno di sentirsi dire “ti amo” emerge quando si ha insicurezza per quanto riguarda i sentimenti che l’altro prova nei nostri confronti. Ma senza scomodare il prossimo e rimanendo fermi a sé il discorso non cambia. Chiunque sentiate che continui a dire che si ama, che si vuole bene o che si rispetta sicuramente ha grandi problemi proprio nell’ambito dell’amore verso sé stesso.
Il bisogno di rendere manifesto l’amore che si prova scomodandolo direttamente emerge dall’incapacità di manifestarlo in altri modi.
Chiariamo un aspetto: non è un male né sbagliato esprimere verbalmente il proprio amore con un “ti amo”, a maggior ragione se non si è mai detto. È fondamentale per lo meno dichiararlo almeno una volta, è necessario mettere quella pietra d’angolo che renda chiaro i nostri sentimenti. Il bisogno di doverlo costantemente confermare è qualcosa di malato, perché significa che la prima volta non è bastato, oppure che con i fatti, con le azioni non si è capaci di dimostrarlo, o ancora peggio che quello che si dice, ovvero l’amore che si dice di provare, non è in accordo con quello che veramente proviamo.
Riassumendo potremmo dire che il bisogno di dover dichiarare costantemente il proprio amore derivi da:
paura che l’altro non provi lo stesso e che quindi lo si possa perdere, dunque si continua a provare a trattenere col proprio amore l’amato;
perché non si ama quindi si cerca di convincere l’altro e sé stessi che non sia così per ragioni che a volte sono molto complesse e altre troppo semplici per essere capite.
Un altro campanello d’allarme dovrebbe essere chiaro quando ci sono troppe richieste di conferma da parte del partner del proprio amore con obblighi di dire la semplice formula magica “ti amo”. In quel caso c’è sicuramente paura e dubbi del partner per quando riguarda i sentimenti che voi provate per esso. In tal caso il cerchio deve essere spezzato perché o effettivamente l’altro/a non prova amore, oppure l’altro/a non è appagato/a dall’amore dato o incapace di viverlo in quel modo.
La sacralità dell’amare e dell’amore
E qui torniamo a Battisti.
La parola amore è presente, ma mai la dichiarazione d’amore espressa direttamente e proprio per questo la canzone esprime un amore sincero, perché non c’è bisogno di dirlo.
In questo modo si rispetta e si riconosce la sacralità dell’amare e dell’amore.

Attenzione amare non è identico all’amore. Il primo è l’atto proprio d’amore, l’incarnazione del sentimento e della passione, non è un’idea né tantomeno una semplice parola che vola ma che non tocca mai terra. Amare non è solo sogni, felicità e bellezza è anche dolore, sofferenza e talvolta pure straziamento. Se si ama bisogna essere pronti a scontrarsi con realtà e con eventi che se non si amasse si potrebbero evitare. Basta pensare alla gelosia, all’invidia (che anch’esse hanno del divino) e al già citato dolore che può essere per la perdita dell’amato come per un tradimento subito ecc…
Sguazzare nel fango in silenzio

L’amore non è obbligato a passare nel fango può rimanere sospeso nell’aria, invece amare significa squazzare nel fango con il sorriso.
Perché per poter essere incarnato e quindi reso concreto e vero, ovvero non solo reale, deve essere parte vivente di un essere umano e l’uomo è stato creato da Dio proprio dal fango. L’immagine dell’uomo che “nasce” dal fango animato dal soffio divino è proprio per restituire il connubio della condizione divina tanto quanto miserabile dell’essere umano: lo “scarto della Terra” che ha in sé il principio divino.
L’uomo potrebbe essere riconosciuto come il sacro scarto della Terra o, in altre parole, come la pietra scartata dai costruttori che poi è divenuta la pietra d’angolo.
L’amore potrebbe anche essere puro, ma solamente perché non è obbligato ad incarnarsi, mentre l’amare è l’incarnazione dell’amore e perciò non può che farsi trovare anche in ciò che è miserabile, come in certi casi sono la sofferenza e il dolore.
Se l’amare è già l’incarnazione dell’amore significa che l’amore è già in uno condizione terrena, quindi impura. Continuare a parlare dell’amore anziché viverlo significherebbe renderlo ancora più impuro perché ancora più terreno, ovvero una cosa fra le cose.
Se se ne parla, troppo, l’amore, e la su incarnazione, diventa un argomento come tanti altri quindi anche oggetto di opinioni (dóxa).
In questo modo ci si allontana sempre di più dall’amore e ci si perde in mostri creati da distorte perversioni dell’amore. Un esempio molto famoso è il rinomato: “se ami allora…” o “allora mi ami solo se…”.
Anche se in un contesto molto differente che si riferisce a Dio e alla conoscenza di Dio, la lezione di Damascio può esserci d’aiuto in questa nostra riflessione. Damascio è un filosofo del V-VI secolo che si inserisce in un contesto di fervida discussione su Dio. Secondo il pensatore di Damasco Dio, o l’Uno (secondo l’insegnamento di Plotino), se è veramente trascendente, significa che trascende qualsiasi cosa. Il che significa che parlarne o sperare di poter capire o di conoscerne qualcosa a riguardo è impossibile. L’unica via possibile è quella del silenzio.
Dunque se l’amore è divino e quindi in parte Dio o manifestazione di Dio allora è doveroso assumere un atteggiamento di silenzio. Perché, ricordiamo, se l’amore non è terreno allora non deve avere a che fare con le nostre discussioni, mente se amare è incarnazione dell’amore allora non deve perdersi nell’aria, ma rimanere nella carne.
Non nominare il nome di Dio, o di JHWH (Jahvè), è una forma di rispetto nei confronti di Dio e un riconoscere la nostra dimensione di esseri limitati e finiti. È un modo, e non solo ciò, per ricordarci che c’è qualcosa che va oltre e che è più grande di noi.
Il senso della vita sta fuori di noi

Battisti non ha bisogno di cantare “ti amo” per esprimere i suoi sentimenti, anzi per assurdo potrebbe essere riduttivo. Già solo la canzone e l’intenzione della canzone sono la dichiarazione di questo amore.
Si può dire ti amo in tanti modi e “ti amo” è solamente uno dei tantissimi modi per dimostrarlo.
Ora senza ulteriori indugi ci inoltriamo nel testo (solo alcune parti), lo commenteremo brevemente per poi soffermarci su quello che è il cuore dell’opera.
Non sarà un'avventura
Non può essere soltanto una primavera
Questo amore non è una stella
Che al mattino se ne va
Oh, no, no, no, no, no, no
Dai primi versi è chiaro di cosa l’autore stia parlando. Non ci troviamo di fronte ad un mero moti passionale o attrazione sessuale, non siamo in Let’s Spend The Night Together dei The Rolling Stones né in You Really Got Me dei The Kinks. “Non sarà un’avventura” dichiara le intenzioni e forse ironicamente smentisce quello che è il titolo o quello che si potrebbe intendere dal titolo che è proprio Un’avventura. “Questo amore non è una stella che al mattino se ne va“, in parole povere non è una relazione fugace una “one night stand“.
Innamorato
Sempre di più
In fondo all'anima
Per sempre tu
All’amata non può che venir dato un posto d’onore: “in fondo all’anima“. Il fatto che si trovi in fondo e non “in alto” implica il fatto che ormai, o già, lei è entrata nelle profondità della sua esistenza. L’anima è ciò che anima ovvero da cui si originano e manifestano i desideri, le pulsioni, i sentimenti e le manie dell’io. Il Senso ne I Ching, oracolo cinese, è ciò che da significato, direzione, forma alla vita. Potremmo dire che è ciò che faccia sì che le cose siano ciò che devono essere. Quando la vita non ha Senso significa che è priva di sé stessa.
L’anima dell’uomo è ciò che permette all’uomo di sentire e di manifestare il proprio Senso.
Bene, dunque se l’anima è ciò e l’amata si trova in fondo all’anima, quindi alla fondamenta, significa che lei è (anche se non l’unica cosa) ciò che dà Senso alla vita.
Perché non è una promessa
Ma è quel che sarà
Domani e sempre
Sempre vivrà
Perché io sono innamorato
Sempre di più
In fondo all'anima
Ci sei per sempre tu
L’amore che Battisti canta non è promessa né certezza, bensì è. Quello che conta è che l’amante sta amando e sa che è così, o meglio, non gli interessa di sapere se ama o meno perché altrimenti farebbe promesse e invece lui non le fa. A lui interessa esprimere il suo amore amando perché è questo che sento e per lui è l’unica cosa che ha senso di manifestare.
“Ma è quel che sarà“. Ancora più che una certezza è che domani, e sempre, questo amare non finirà, anzi non potrà che crescere. L’autore dipinge con le parole l’innamorato in quanto colui che ospita dentro sé qualcosa di divino. È una mania, una passione che travolge, spinge e trasporta l’innamorato. E per una cosa divina il presente non basta, infatti si catapulta già verso il futuro perché questa passione non può che trascinarlo oltre sé, verso l’ignoto che è rappresentato dall’amata e da un tempo che ancora non c’è, il domani.
“Happiness is real when shared” (Into the wild) ovvero che se qualcosa è solamente “mio” in un certo senso non è legittimamente né pienamente reale. Ciò che è figlio di solipsismo, rinchiuso nella sola mente o “realtà” di un soggetto rimane come un mero oggetto potenziale e mai attuale. È come un progetto che non viene mai realizzato e di cui nessuno sa nulla se non il progettista. Bene, ma cosa ha a che fare con il nostro Battisti? La risposta la troviamo nelle parole “in fondo all’anima ci sei per sempre tu”. Con questa dichiarazione l’autore mostra come l’anima, di cui abbiamo parlato prima, ovvero ciò che ci anima si incarna e ancora nel mondo materiale a partire dal legame con ciò che sta al fuori di noi, in questo caso l’amata. Questo significa che chi ama, chi desidera, chi vuole trova la propria ragione e causa interna che lo spinge ad agire in relazione a qualcosa che sta oltre e fuori loro stessi.
No, non sarà un'avventura
Un'avventura
Non è un fuoco che col vento può morire
Ma vivrà quanto il mondo
Fino a quando gli occhi miei
Avranno luce per guardare gli occhi tuoi.

In questa parte finale ci concentriamo sugli ultimi due versi: “Fino a quando gli occhi miei / Avranno luce per guardare gli occhi tuoi“.
L’amante mette in gioco tutto sé stesso per l’amata, eppure riconosce che non tutto dipende da lui. C’è un abbandono consapevole e, in un certo senso, disilluso. Non si parla di “finché morte non ci separi”, ovvero c’è una presa di responsabilità di donare all’altro tutto ciò che si può finché lo si può fare… finché la luce lo permette. La morte risalta come una predizione di una sicura separazione, prima o poi tutti moriremo e quindi ci separeremo per forza. Inoltre sembra che al di là della sola morte nient’altro può portare alla fine del rapporto e dunque nient’altro può minare la tranquillità e la felicità dell’unione. In questo modo si rischia di dare per scontato la relazione, come se una volta che essa viene consolidata sia un dato di fatto che non può più sciogliersi.
Invece i versi finali ci dicono qualcosa di diverso: “fino a quando gli occhi miei avranno luce per guardare gli occhi tuoi“. Il “fino a quando […] avranno luce” enuncia la possibilità e dunque la non necessità della presenza della luce e indirettamente anche dell’amore per l’altro. Ciò implica il fatto che l’amore non è dato per scontato fino alla fine, perché può succedere che questa luce venga a mancare o che cambi direzione, e allo stesso modo implica anche che questo amore possa andare anche oltre la stessa morte.
In questo modo si rende responsabili i due amanti del proprio amore, di coltivarlo e di viverlo sfruttando ogni momento di dono della luce per vedere chiaramente negli occhi della “propria metà”.
C’è una consapevolezza del fatto che il sentimento divino che si prova non è altro che un dono che può e deve essere vissuto a pieno attraverso anche dolore, sofferenza e sforzi. Battisti canta di questi occhi che si cercano e che si guardano. C’è un impegno nel guardare che va oltre il semplice vedere che manifesta l’intensità e la fatica che viene messa in gioco dagli amanti. Il gioco e l’intesa però si fondano essenzialmente sulla possibilità che la luce dona loro.
In conclusione, l’amore non è altro che uno degli ideali a cui l’uomo tende e da cui è attratto, a cui si ispira e aspira (proprio nel senso del respiro – spiro/spirito) nel suo agire quotidiano. E per poter mettere in opera quest’idea non l’essere umano non può che incarnarla attraverso il legame e la relazione col prossimo.
In altre parole, l’amore si fa carne ovvero amare solamente quando va oltre sé, ovvero quando l’amante si proietta verso l’amato passando attraverso il fango con un sorriso.
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