W: Bentrovati qui all’ultima puntata di questa meravigliosa avventura! Benvenuto P.E. e benvenuti tutti voi cari lettori.
P: Bentrovato anche a te White Jolly. Come finire meglio – speriamo solo questa prima serie di incontri e di confronti sul Vangelo – che domandandosi quale fosse l’idea di felicità propria di Gesù?
W: Puntata migliore non poteva esserci e partiamo proprio da una domanda semplice. Questa domanda è forse la più importante per la vita di ogni persona, d’altra penso e spero che chiunque cerchi di capire come può essere felice, o mi sbaglio?
P: Bella domanda. Qualcuno dice semplicemente che non è possibile: la felicità è troppo – si sente dire – io mi contento della serenità. Che è certo una resa onorevole, ma pur sempre una resa.
Altri pongono la felicità oltre e, come dice la canzone, si concentrano sul cammino: non ci arriveremo, ma intanto ci siamo mossi.
Ci sono poi quelli che mettono la felicità nelle cose: se possedessi… (e qui ciascuno pone l’oggetto del proprio desiderio), allora sì che sarei felice.
E per te in cosa consiste la felicità?
Felice lo sei…

W: Partiamo dal presupposto che credo che anche una persona triste possa essere felice. Cerco di spiegarmi meglio. La felicità secondo me è una condizione, un modo d’essere e di vivere, insomma è come decidiamo di affrontare l’avventura della vita. Non è certo un qualcosa che puoi avere o tenere in mano. Quelli che credono di potersi comprare o avere la felicità fanno un grosso errore, tanto quanto quelli che credono che sia troppo distante da poterla raggiungere. E ciò proprio per il fatto che puoi solo viverla. Faccio una sola e breve domanda: mettiamo caso che noi potessimo avere la felicità, che senso avrebbe poi tenerla in uno scaffale? Sappiamo bene che quando abbiamo ciò che desideriamo poi lo mettiamo in disparte…
P: Vero. E tuttavia converrai con me che la felicità è un bene tutt’affatto particolare, diciamo totalizzante. Difficile pensare di prendere la felicità, come se fosse una cosa qualsiasi, e farne che: ad esempio metterla da parte. Tanto è vero che Gesù più che della felicità parla di chi è felice o, come dice lui, di coloro che sono beati. E, nel testo di Matteo (Mt 5,1-12), ma più ancora in quello di Luca (Lc 6, 20-23), ci indica una serie di categorie di persone che a me almeno appaiono candidati assolutamente improbabili al modello di uomo o donna felice:
affamati, assetati, afflitti e perseguitati, ma anche inermi, pacificatori e quella strana categoria che sono i “puri di cuore” mi paiono difficilmente collegabili all’idea di persona felice.
Suggerisco in particolare di concentrarsi sui primi quattro gruppi: gli affamati, gli assetati, che sia di pane piuttosto che di giustizia possono essere felici? Possono essere felici quelli che sono nel pianto o che subiscono la persecuzione?
W: Bisogna ammettere e devo ammettere che di primo acchito questo sembri una consolazione, un modo quasi di giustificare o di dare speranza a queste persone (che potremmo dire poco fortunate) che sono o sembrano in grande sofferenza. Sicuramente allora come oggi è difficile pensare che il pover uomo che soffre la fame sia felice, o beato, mentre il mega miliardario no. Anche se a dirla tutta non riesco ancora tutt’oggi a vedere l’uomo ricco e di successo come necessariamente felice, ma non perdiamo il filo. Penso che dalle parole di Gesù usciranno delle sorprese.
P: Starei ancora sul testo senza sfumature di Luca, dove la beatitudine sembra raggiungere la categoria di quelli che padre Zanotelli definisce i crocifissi della storia. Qualcuno l’ha risolta proprio così, come dicevi tu: sfortunati di qua, ma felici di là. Poi arriva Marx e contesta: la religione, oppio – come le cure lenitive a base di morfina – dei popoli. Tenuti a bada così, con la promessa del Paradiso, si evitano le rivoluzioni. In questo senso l’ironica battuta del mr. Scrooge di Dickens se poi gli faccio l’elemosina e non sono più poveri, si perdono il Paradiso!
Nel messaggio del Vangelo mi sembra radicalmente differente; c’è una presa di posizione, una discesa in campo. Dio dice – attraverso le parole di Gesù – da che parte sta: io scelgo voi.
Nulla di così nuovo, a ben vedere: è lo stesso messaggio del magnificat. Dio sceglie di schierarsi a fianco di coloro che non hanno altro motivo per essere felici che Lui. E, conseguentemente, sempre nel Vangelo di Luca, gli altri sono nei guai: guai a voi ricchi, guai a voi gaudenti, guai a voi sazi, guai a voi che spiccate nella graduatoria dell’audience e per il numero di followers (se possiamo dirlo con i nostri termini).
Felici voi altri, del primo gruppo, perché Dio condivide le vostre miserie e le tramuta in consolazione: consolazione effettiva, non una pacca sulle spalle di chi ha fame o quattro lacrime per chi soffre, ma sazietà e sollievo.
Il guaio dei secondi sta nel fatto di illudersi che le fortune che gli sono capitate, magari per caso e senza merito, nella vita siano necessariamente eterne e per questo sufficienti a scaldare il cuore.
Matteo fa un passo in più: con la sua spiritualizzazione delle beatitudini, come viene definito il processo che ha messo in atto, passa dalla lettura della situazione – Dio è dalla vostra parte – all’assunzione consapevole e volontaria della condizione.
Essere e non avere

Se chi non ha nulla è oggetto della cura amorevole del Padre, che se ne fa teneramente carico, i poveri in spirito sono coloro che, a prescindere dalla condizione di partenza (dei quattrini che hanno effettivamente in tasca) vivono un distacco reale dalle cose e dal loro potere suadente.
Spero di essermi spiegati chiaramente: non sono poveri in spirito quelli che continuano a vivere da riccastri preoccupati solo di sé stessi e pensano che un rosario o quattro spiccioli di elemosina – ma nemmeno la lauta busta di Natale per la Parrocchia – metta a posto i conti di una vita concentrata solo sul proprio ombelico.
No, si tratta proprio di coloro che considerano Dio come l’unica ricchezza che è capace di dare gusto alla propria esistenza e, se mai possono e fanno l’elemosina, lo fanno con la consapevolezza e la libertà di chi condivide ciò che ha ricevuto e non con l’auspicio di investire in previsione di una suite in Paradiso: che siamo stati tanto buonini.
Anzi, per la verità, sono coloro che il Paradiso se lo sognano come dono gratuito e speranza essenziale oltre e nonostante il poco (o, anche eventualmente, il tanto, della cui pochezza di fronte a Dio e al suo amore restano consapevoli) che sono riusciti a compiere e di cui, comunque, sono felici.
W: Mi sembra proprio che ti sia spiegato bene. Effettivamente all’inizio poteva sembra che il Paradiso fosse accessibile solo a coloro che sono succubi della vita, o fortemente sfortunati, mentre coloro che invece si guadagnano o si conquistano qualcosa rimangono tagliati fuori. Ma non è certo questo quello che Dio e Gesù hanno cercato di dire: devi essere libero di mente e di spirito, non con le tasche e le mani piene! Anzi quelle mani usale per avvicinarti a colui che ti sta accanto, vedrai che se fa freddo vi scaldate entrambi e se fa caldo magari trovi un amico.
P: Ecco, credo che il punto sia proprio attorno a quel guadagnarsi e a quel conquistare di cui parli. Non che sia sbagliato darsi da fare, proporsi degli obiettivi o raggiungere delle mete. In fondo, il compito di esercitare la propria signoria sul mondo Dio lo affida, secondo il racconto biblico, proprio alla prima coppia. Non so come meglio dirlo, ma ritengo che la questione sia nelle relazioni. Ed è in fondo quanto abbiamo provato a ripetere in tutte queste settimane. Chi non ha null’altro fa forse meno fatica a porre la propria felicità in altri che in Dio. Ma poi è proprio così vero? La sapienza antica fa domandare di essere preservati dall’eccesso di ricchezza e di povertà perché nella prima non mi dimentichi e nella seconda non sia portato a rubare e a bestemmiare un Dio che sembra lontano e indifferente. E lo stesso discorso di Gesù pare rivelativo proprio in questo senso: vi dico io, poveri, miseri, delusi, sconfitti, che la vostra sorte è fortunata. Infatti sono venuto a manifestarvi l’amore di Dio per voi e per questo sono qui.
Quando hai colto questo amore e quando questo amore ti ha riempito la vita, allora smetti – non tanto di darti da fare e di operare, persino produrre – di credere che si tratti sempre di fare la guerra, di vincere e di primeggiare, di imporsi a scapito di tutto e di tutti. E allora capisci la beatitudine sui pacifici – ma il testo parla più di peace maker, di colore che la pace la realizzano, o quanto meno, ci provano – su coloro che ripugnano l’utilizzo della violenza.
Se vai a vedere il testo di Matteo, al centro di tutto stanno quelli che siamo soliti chiamare puri di cuore: coloro che hanno una visione della vita non viziata da pregiudizio e da malanimo, coloro che sono capaci di vedere dentro e dietro la realtà il volto amorevole del Padre, anche quando le circostanze paiono – e magari lo sono proprio – avverse, coloro che scelgono di vedere nell’altro – persino nel nemico, consapevoli che è un nemico – un fratello da amare.
In fondo, l’uomo delle beatitudini è in realtà Gesù stesso: questa pagina non è altro che un magnifico autoritratto del Signore offerto noi come manifesto per la nostra esistenza. Felicità insomma – pare dirci Gesù – è condividere il mio sguardo su Dio, sulla vita, sugli altri e sul mondo.
Spezzò il pane lo condivise… e fu felice

W: Mi trovi d’accordo. Senza gli altri non ha senso né valore vivere, se non addirittura impossibile. C’è un film di cui probabilmente quasi tutti avete visto, o per lo meno sentito parlare, che si titola Into The Wild, tratto dalla vicenda di un ragazzo che decide di andare a vivere allontanandosi da tutti i legami, per lo meno umani. Ad un certo punto scoppiando in lacrime arriva a scrivere questa frase sul proprio diario:
“Happiness is only real when shared”
la felicità è reale solo quando viene condivisa
Vediamo dunque che senza la condivisione della propria esistenza e della propria vita non c’è alcuna felicità. Per questo motivo gli insegnamenti del Maestro sono così fortemente centrati sulla costruzione e sulla cura dei legami col prossimo.
P: Ti ringrazio, anche per la citazione di questo film che non conoscevo e per le considerazioni che ne hai tratto. In realtà quando dicevo: “Felicità insomma – pare dirci Gesù – è condividere il mio sguardo su Dio, sulla vita, sugli altri e sul mondo”, intendevo proprio lo sguardo di Gesù, che ho tentato di descrivere sopra, non semplicemente l’importanza delle relazioni che ciascuno di noi è in grado di istituire con tutto quanto ha attorno.
Gesù è il figlio che vive nella relazione d’amore con il Padre tutta la propria vita e, per questo, la vita diventa dono per tutti quelli che lo incontrano. In questa dinamica Gesù ci propone di trovare la ragione del nostro essere felici: una forza capace di rendere bello qualsiasi oggi in qualsiasi luogo.
W: Che bello poter chiudere questi nostri incontri su queste parole, sulla felicità e sull’essere felici di vivere. Un grande grazie per il tempo trascorso, speso e condiviso in questi mesi. Spero che oltre che a me anche per i nostri lettori sia stato interessante e di stimolo.
P: Speriamo. E comunque, sii felice White Jolly.
W: Sii felice P.E. e siate felici cari amici e lettori.



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