W: Bentrovati a tutti e bentrovato a te P.E.
P: Grazie White Jolly. Partiamo subito. E visto che hai letto le pagine che ho suggerito, lascio a te di introdurre il discorso sulla logica del Regno. Lasciami solo dire una cosa che a te non servirà, ma forse a qualcuno dei nostri lettori sì.
Un regno che non puoi vedere

Il Regno di Dio (o “dei cieli”, un semitismo con cui si evita il riferimento al nome sacro) è l’argomento principe dei diversi discorsi che Gesù tiene, in pubblico e in privato. Ci mette del bello e del buono per farci capire di cosa si tratta. E le parabole di oggi potrebbero ben aiutare. E’ importante tenere presente che, a differenza degli altri regni, non si tratta di uno spazio geografico con dei confini. Non si tratta neppure di quello che il discorso religioso raffigura come il Paradiso. E’ piuttosto la realtà dove è il modo di pensare di Dio – liberamente accolto dagli uomini – a caratterizzare giudizi e comportamenti, fino alla sua realizzazione ultima e definitiva, che sarà appunto il Paradiso. Ma alla fine.
W: Allora ricordiamo che i principali riferimenti li abbiamo, in questo caso, da Luca e soprattutto da Matteo, ben tre da lui. In tutte e quattro le parabole di Gesù abbiamo presente un padrone e altri individui come servi o lavoratori.
P: Sì, tenendo presente che i “servi” sono personaggi di un certo valore. Quelli a cui il padrone consegna le monete o il talento potremmo dire che sono i suoi amministratori, mentre il debitore (10.000 talenti) era come minimo il governatore di una regione, un feudatario o un satrapo nei confronti del sovrano. Certo, servi, ma servi col pedigree. Molto più modesto il lavoratore giornaliero chiamato nella vigna, certo.
W: Certo, abbiamo un alto livello di fiducia e di riconoscimento tra il padrone e questi “servi”. Nella parabola dei talenti (o nella versione con le monete), come hai ricordato, ai “servi” viene consegnato del denaro da gestire con una semplice missione: farlo fruttare. La parte interessante risiede nel come questi personaggi decidono di gestire la somma ricevuta.
Ci sono degli atteggiamenti comuni, che vedremo meglio cammin facendo: c’è chi lavora, impiega e fa fruttare la somma; c’è chi invece preferisce conservare i talenti, o il denaro, senza provare ad investirlo. La reazione del padrone forse non è esattamente quella che tutti potrebbero aspettarsi.
P: In che senso?
W: Nel senso che potremmo pensare che il padrone nei confronti di chi conserva i talenti si sarebbe dovuto dimostrare accogliente e comprensivo.
P: E perché mai? Io un amministratore così l’avrei cacciato a calci. Ti do dei quattrini perché tu li faccia fruttare, e tu li imbuchi, letteralmente.
W: Forse potremmo pensare così perché per lo meno il servo non ha perso nulla, ma come hai ben sottolineato di ciò non ce ne importa un fico secco. Aveva una sola e chiara consegna: far fruttare il suo gruzzoletto. Il gioco era semplice e lui si è tirato indietro. Di conseguenza possiamo capire invece perché il padrone si adira, e non poco, nei confronti di questo “servo malvagio”.
P: Si fa interessante. Fammi un po’ capire: cosa ha sbagliato questo servo?
W: Semplicemente ha disobbedito. Però attenzione non dobbiamo intendere che quello che il servo doveva fare era solamente essere ubbidiente. Doveva fidarsi del suo padrone, invece ha avuto paura di “giocare” e di “mettersi in gioco”, nonostante il suo capo gli avesse dato gli strumenti per competere.
P: Già. Pare proprio anche a me che la differenza stia lì. Gli altri infatti, si presentano baldanzosi e quasi stupiti. Guarda, mi hai dato cinque talenti (32 Kg d’argento x 5, ica bruscolini); ne ho guadagnato altri cinque. Nella versione di Luca addirittura il servo dà il merito alla moneta: “la tua moneta ne ha fruttate altre 10”.
Come dicevi tu: tu ti sei fidato di me, e io mi sono fidato della tua fiducia nei miei riguardi. E guarda qui che spettacolo!
W: Infatti a tutti i servi che si sono presentati con un ricavato viene dato in premio lo stesso numero di monete guadagnate (o il governo su un numero equivalente di città). Invece al nostro pauroso amico viene data un grande castigo: viene sbattuto fuori e privato degli averi che il padrone gli aveva consegnato. E’ molto interessante la fine che fanno questi averi che il padrone si riprende, se vuoi te lo lascio dire a te.
P: Sei proprio sul pezzo!
No, poi magari ce lo dici tu. Invece, da quello che racconti, mi viene da considerare che quando ci sono di mezzo “i quattrini” anche Dio si dimentica di essere misericordioso. Non trovi?
W: Così potrebbe sembrare, però non vorrei interpretare troppo alla lettera quello che gli evangelisti ci narrano. E’ difficile capire da che parte (letterale o figurata) bisogna o si può sbilanciarsi.
P: Uomo prudente. Persino troppo per la tua giovane età, che autorizzerebbe anche ad essere un po’ più avventati. Ma saggio.
Vai a vedere cosa dice il padrone al servo che si giustifica.
O giochi o sei fuori

W: Il padrone gli rispose:
“Servo malvagio e pigro, tu sapevi che mieto dove non ho seminato e raccolgo dove non ho sparso; avresti dovuto affidare il mio denaro ai banchieri e così, ritornando, avrei ritirato il mio con l’interesse. Toglietegli dunque il talento, e datelo a chi ha i dieci talenti. Perché a chiunque ha, verrà dato e sarà nell’abbondanza; ma a chi non ha, verrà tolto anche quello che ha. E il servo inutile gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti”.
Mt 25,26-30
P: Già. E immagino che la versione di Luca non sia tanto diversa.
W: Gli rispose:
“Dalle tue stesse parole ti giudico, servo malvagio! Sapevi che sono un uomo severo, che prendo quello che non ho messo in deposito e mieto quello che non ho seminato: perché allora non hai consegnato il mio denaro a una banca? Al mio ritorno l’avrei riscosso con gli interessi”. Disse poi ai presenti: “Toglietegli la moneta d’oro e datela a colui che ne ha dieci”. Gli risposero: “Signore, ne ha già dieci!”. “Io vi dico: A chi ha, sarà dato; invece a chi non ha, sarà tolto anche quello che ha. E quei miei nemici, che non volevano che io diventassi loro re, conduceteli qui e uccideteli davanti a me””.
Lc 19, 22-27
P: Ti è chiaro cosa voglio sottolineare?
W: Forse non così come dovrebbe, però provo a buttare lì un’ipotesi. Per lo meno su un aspetto che mi ha colpito: “A chi ha sarà dato”. Mi sembra che ci sia un certo interesse per il possesso, anche se non come lo intendiamo comunemente. Il padrone porta un’attenzione a chi ha e a chi riesce a produrre di più.
P: Se andiamo avanti così, Dio assomiglierebbe pericolosamente ad Elon Musk. Invece, vero che la moneta (o il talento) viene dato a chi ne ha già dieci. Eppure i complimenti a chi da una moneta ne ha prodotte cinque o a chi ne ha prodotte dieci sono uguali: hai lavorato proprio bene, bravo. Sono fiero di te!
Guarda invece l’inizio del discorso. Cosa ci trovi?
W: Il padrone giudica il servo dalle sue stesse parole.
P: Proprio così. E’ l’idea di Dio che ti sei fatto, che ti ha fregato: tu mi dipingi come un assetato di prestazione, oltre modo esigente e pretenzioso. E questa cosa ti ha paralizzato e ti ha impedito di vivere a pieno la tua vita mettendo a frutto i doni che ti avevo fatto. E così ti dimostri nemmeno all’altezza dell’immagine distorta che ti eri creato: “come minimo avresti dovuto metterli in banca e ritirare gli interessi (chissà che banche c’erano al tempo di Gesù? Ma forse intendeva un fondo di investimenti …).
No, se tu sapessi che Io sono quello che si fida di te, la vita sarebbe un’avventura entusiasmante, dove ci provi ogni giorno a tirare fuori il meglio. E questa fiducia è fruttuosa e produttiva: come quello che aveva solo cinque pani e due pesci e sono bastati a sfamare cinquemila uomini (più le donne ai bambini).
Te invece, mi ridai una moneta inzaccherata.
Sei fuori: tu, non c’è bisogno che ti sbatta fuori io, anche se il racconto esige un’immagine diversa. Sei fuori dalla logica stupefacente del Regno. Io vi faccio signori dei miei beni e “me ne vado a spasso”. Dovete solo giocare la mia parte. E sarete felici. Investire nell’amore, e darete frutto. E dove ce n’è, come dicevi prima, ci piove sopra: a chi ha sarà dato.
Ma dove c’è paura, l’amore non ha spazio (Gv 4, 18). Ed eccoti, li fuori al freddo, con le mani vuote.
W: Uscendo per un attimo dalla metafora è chiaro che se non sei pronto ed aperto all’amore difficilmente potrai riceverlo. Se credi che tuo padre, Dio o il padrone che sia, è un arcigno affarista non credo proprio che riuscirai a cogliere dei segni di affetto da parte sua. Anche nel caso lui cercasse apertamente di dimostrarti il suo amore.
Questo servo che nasconde il talento e si nasconde si preclude da solo, come hai detto te, la possibilità di fare parte della gioia del Signore. Così come ha fatto il fratello maggiore nella nostra puntata precedente. Proprio per questo motivo il padrone toglie la moneta al “servo malvagio” e la dà a chi ne ha dieci.
Giusto così?

P: Esatto. E come capita al lavoratore che ha fatto bene il suo, riceve la paga. ma poi è preso dal rancore perché
“quelli lì che hanno lavorato un’ora sola, li ha retribuiti proprio come noi!”
W: Il padrone poi gli ricorda che aveva concordato per un soldo e il patto non cambia.
P: Già terribile: o tu hai l’occhio cattivo – dice letteralmente il testo – perché io sono buono?
W: Penso che sia bene citare una frase che Matteo scrive, il padrone dice ai lavoratori:
“Andate anche voi nella vigna; quello che è giusto ve lo darò”.
Mt 20, 4
Gli uomini non fiatano, accettano senza grossi complimenti. Poi dopo si lamentano, e penso lo avrei fatto anche io probabilmente. Penso che però il problema stia nel fatto che padrone e servi non concordano su “quello che è giusto”.
P: Già. La giustizia di Dio e la nostra non coincidono. Noi pensiamo che sia giusto che Lui “ci paghi” per quello che facciamo: abbiamo la fissa di “conquistarci il paradiso”, con il nostro impegno. La sua giustizia – il progetto che ha su di noi – è che noi si entri “nella sua vigna”, si interpreti la vita come Gesù, un operare secondo la sua volontà. E che scopriamo lì la felicità. Prima arriva, meglio è. Poi uno se ne accorge un istante prima di morire, appeso alla croce di fianco al Figlio dell’Uomo, e si sente dire: oggi sarai con me in paradiso. L’unico peccato è che hai perso tempo, sino ad ora, facendo altro.
W: Un altro peccato è che stiamo arrivando al termine di questo episodio, ma come ben sappiamo non finisce certo qui il nostro percorso. Rimanendo sulla scia di queste parabole settimana prossima proseguiamo sempre con un altro servo che deve fare i conti con il suo padrone.
P: Sì. E vedrai che, per altro verso, il problema non cambia. Sino a che si rimane nella logica del “io ti do – tu mi dai”, si può anche star dentro “la vigna”, ma ci starai da ingrugnito: perché poi lui è “ingiustamente” buono. E’ quando entri nella logica dell’amore che vivere nel Regno è una festa. Il che non toglie che lavorare tutto il giorno possa essere massacrante. Bisognerà ritornare anche sul tema della gioia. Che sarà lo step successivo. Prima finiremo, come hai detto tu, questa serie di parabole.
W: Bene, abbiamo un bel programma da seguire, rimanete sintonizzati! Ciao P.E. buona settimana!
P: E nel frattempo, potete anche approfittare dei nostri suggerimenti bibliografici, anche se i testi che proponiamo non sono nell’elenco delle novità letterarie. Buona settimana White Jolly.
PER I PIÙ CURIOSI
Bruce Marshall, A ogni uomo un soldo, 1945.
Id., Il mondo, la carne e padre Smith. 1945.



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