Identità, potere e sesso come esempio di strumento d’affermazione.

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[L’articolo è più complesso dei precedenti. Chiedo gentilmente a chiunque legga di segnalare eventuali dubbi e problemi riguardanti alla forma e alla leggibilità di tutti i passaggi e dei contenuti.]

Premessa necessaria in assenza di sottotitolo. Il vero obiettivo di questo testo è la presentazione di una concezione e descrizione dell’identità con una conseguenza necessaria nella morale, che emergerà in altri articoli futuri. Anche al sesso, qui, viene data una delle possibili interpretazioni, senza avanzare giudizi definitivi e senza avanzare teorie che affermino la corruzione morale dovuta all’atto sessuale. In un articolo precedente avevo già dato una lettura del sesso come agire non coincidente con l’amore ma come possibile espressione di esso. Potremmo dire con Froom che il sesso in questa sede è interpretato secondo la modalità dell’avere e non dell’essere. La relazione sessuale viene utilizzata come espediente esplicativo ed esemplificativo di una delle infinite rappresentazioni causali (potere) su cui si costruisce l’identità.


Spinoza nella sua Etica ha spiegato perché l’uomo credeva/crede che il mondo sia stato ideato o che si conformi in virtù delle sue necessità. È bene ricordare che virtù significa la massima realizzazione di qualcosa, dunque se il mondo fosse in virtù delle necessità dell’uomo, il mondo è fatto affinché ciò di cui l’uomo necessità venga a compiersi nella sua massima forma. Una sorta di teleologia soggettiva. Da qui derivano tutte le idee di superiorità e di soggiogamento del pianeta e delle sue altre forme di vita “inferiori”.

«L’uomo domini sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo, sul bestiame, su tutti gli animali selvatici e su tutti i rettili che strisciano sulla terra. […] Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra e soggiogatela, dominate sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo e su ogni essere vivente che striscia sulla terra» (1,26.28).

Da questo passo della Genesi sembra che la creazione non sia ancora conclusa e che Dio abbia lasciato all’uomo l’onore di concludere l’opera. Dio ha generato secondo ciò che ritiene: “cosa buona e giusta”, e

così l’uomo plasmerà il mondo: ordinandolo secondo ciò che ritiene essere cosa buona e giusta.

Ma per l’uomo che cosa buono e giusto?

Nell’esperienza il soggetto deve comprendere come poter sopravvivere o per lo meno conservarsi. Questa necessità comporta il discernimento di ciò che è buono e cattivo, o semplicemente di ciò che favorisce o meno la conservazione.

Quindi il mondo viene già ingenuamente interpretato e usato come strumento che possa soddisfare dei fini personali.

Ciò che piace, crea piacere e conservazione quindi produce una condizione di soddisfazione è buono e giusto.

Bisogna porre attenzione al piacere come prima guida ingenua dell’uomo e sull’affermazione dell’identità come sistema di nessi causali, creduti come necessari.

In questa analisi il sesso diventa uno strumento di affermazione del proprio potere, dunque identità, come causa necessaria.

Anche il sesso dunque ha un fine preciso, uno scopo per il quale è, ovvero esiste. Gli scopi possono essere due in realtà, ma ci focalizzeremo solo sul secondo solo per una questione di efficacia esplicativa del tema centrale. I due fini sono: la riproduzione e il piacere.

Il soggetto crea modelli a cui crede che la parti della realtà debbano vertere per realizzarsi.

Ne Il mondo come volontà e rappresentazione Schopenhauer identifica nel desiderio sessuale il tentativo di acquietare la spinta desiderativa incessante della Volontà. La questione è più complicata, ma ho già esposto qualcosa in precedenza. L’individuo si ritrova in balia di una forza che lo spinge a volere la vita, o meglio a desiderare. Ma questo desiderio non ha una meta, ma una continuità rigenerazione e riproposizione. È un’azione nichilista produttiva.

La volontà è puro desiderare e come tale non può essere soddisfatta, poiché desiderare implica la distanza dal desiderato.

Dunque il soggetto cerca, spinto da questa forza, un modo per alleviare questa spinta incessante e trova la risposta nella soddisfazione, nel piacere. La massima espressione, secondo il filosofo di Danzica, è il sesso. Nel sesso, o se vogliamo trovare la massima soddisfazione, nell’atto dell’orgasmo la Volontà si quieta, dando una parvente realizzazione. Parvente, perché poi il desiderio della Volontà non avendo un vero oggetto se non lo stesso desiderare si rinnova vertendo verso altro.

Nel sesso il soggetto esperisce la massima forma del piacere, poiché sembra che quieti la Volontà. Il ragionamento è semplice: se il sesso è l’unico agire che è in grado di non fare desiderare altro proprio a causa del piacere che provoca, significa che è il bene soggettivo più alto che si può perseguire o volere.

Essendo il piacere la guida ingenua umana e il sesso l’espressione ingenua del massimo piacere, trai due si instaura un forte rapporto intimo.

L’uomo saggio è l’uomo felice. C’è una motivazione molto profonda per ciò. Per la tradizione greca-occidentale a differenza di quella orientale saggezza e sapienza vanno a braccetto. Per gli orientali l’uomo felice è colui che è il “maestro del buon comportamento”, ovvero un Confucio per esempio, colui che sa come relazionarsi correttamente col mondo. Mentre per la tradizione occidentale le due nozioni vanno quasi a collassare: l’agire partico è possibile solo se accompagnato da un sapere intellettuale e viceversa.

L’agire morale è frutto di una corretta conoscenza, il male è frutto dell’errore conoscitivo.

L’atteggiamento morale corretto è conseguenza della episteme, della conoscenza vera e fondata.

Senza questa attenzione non si può comprendere quasi nulla della filosofia antica e quasi la totalità degli articoli di questo blog.

Nonostante la gran parte del nostro comportamento sia frutto di un agire non totalmente controllato da un volere coscienziale, le credenze maturate dai soggetti influenzano, modificano e selezionano stimoli e risposte nell’ambiente. Il pensiero non è qualcosa di astratto o metafisico, ma è un processo che si svolge attraverso interazione e confronto col mondo, pertanto in relazione circolare con la realtà.

Pensare è un processo di ricezione, elaborazione e produzione della realtà.

Un processo circolare senza un necessario vettore, ovvero senza una direzione particolare e senza una scritta “inizio” o “fine”.

Nel suo Manuale Epitteto già nel primo paragrafo distingue due tipologie di oggetti o di cose:

1) ciò che è in nostro potere

2) ciò che non è in nostro potere

La prima classe è tutto ciò che è libero e che ci appartiene, ovvero tutto ciò che è soggetto al nostro controllo o influenza. Tra tali oggetti risiedono: il giudizio, il desiderio, l’avversione…

Alla seconda classe rientra ciò che è schiavo, ciò che non sotto il nostro controllo. Il corpo, la fama, lo status sociale, il denaro, i parenti, gli amici…

Epitteto è lapidario e cristallino:

Se consideri libero ciò che per natura è schiavo sarai anche tu schiavo e soffrirai.

Per vivere bene e agire moralmente, bisogna imparare a discernere razionalmente le due classi di oggetti. Detto in altri termini per essere felice e libero bisogno identificarsi correttamente, ovvero bisogna comprendere correttamente la proprietà identità, ciò che si è.

Non inorgoglirti per un merito che non ti appartiene. Se fosse il cavallo a vantarsi: “sono bello”, si potrebbe anche accettarlo; ma quando tu orgogliosamente dici: “ho un bel cavallo”, sappi che ti stai vantando di un pregio del cavallo.

Cos’è davvero tuo, dunque?

Il tuo comportamento di fronte alle rappresentazioni.

Epitteto, Manuale paragrafo 6

Aggiungerei una precisazione: “ti stai vantando di un pregio che tu giudichi del cavallo”.

Identità è ciò che è identico, ovvero stabilmente sé stesso. C’è una premessa implicita di negazione di cambiamento o di persistenza di uno stato nel cambiamento. Questo implica che ci sia una relazione necessaria con ciò con cui il soggetto si identifica. Per esprimerlo in altri modi: l’identità corrisponde all’io inteso come causa necessaria, relazionata a tutti i suoi effetti, necessari.

Chi si vanta di avere un bel cavallo, o semplicemente un cavallo, è colui che lo ritiene proprio, quindi in proprio potere, ovvero schiavo o effetto di sé.

Identità significa: identificare e riconoscere oggetti ed eventi nella propria esperienza come effetto stabili e propri nel cambiamento.

Paperone è ricco perché si identifica col denaro posseduto. Di fatti non lo spende, perché così facendo perderebbe parte di sé.

Ricollegandoci all’argomento di apertura di Spinoza, ovvero dell’uomo che ritiene il mondo fatto in virtù delle sue necessità, possono emergere aspetti interessanti. Avevamo già affermato che secondo questa concezione la virtù del sesso, quindi la sua massima realizzazione, è il piacere che si manifesta più compiutamente nell’atto dell’orgasmo.

Nel concepire il mondo come se fosse fatto per l’uomo, il soggetto: rappresenta arbitrariamente una relazione causale necessaria e definita. Che significa in pratica?

Significa che il soggetto si immagina e produce un inizio (causa), ovvero sé stesso, ed una fine (effetto) delle relazioni col mondo, adeguando la realtà ai suoi desideri.

Per poter credere di essere la causa necessaria di qualcosa dobbiamo avere un saldo presupposto: che l’effetto che viene prodotto sia ciò che deve accadere. Se non si presupponesse ad un oggetto o ad un evento una virtù a cui deve vertere, non sarebbe possibile creare l’identità di sé come la causa che genera quei precisi eventi. Ma c’è di più. Il fatto che questi effetti devono accadere quando il soggetto è presente, quindi quando vi è la causa, implica che tale relazione è appartenente e integrante dell’io. Ciò consiste in una rappresentazione ad hoc “su misura” del soggetto.

Non è possibile creare l’identità come sistema di relazioni causali stabili, senza credere di essere la causa necessaria per cui un evento o un oggetto raggiungano la propria virtù.

Per esempio, per far sì che il soggetto possa credere di essere la causa necessaria del piacere che il partner prova, deve presupporre per forza che ci sia un “obiettivo” o un effetto peculiare che deve manifestarsi quando, tale relazione si instaura o ripropone, tale effetto è il piacere. Se il soggetto è presente e il partner prova piacere, allora il soggetto e solo il soggetto è la causa del piacere del partner.

La relazione sessuale in questo ambito non è altro che la ricerca della conferma della propria identità. Il rapporto è soddisfacente quando si realizza, o meglio, quando l’effetto creduto necessario viene in atto.

Questo significa che l’attenzione non è rivolta verso l’altro, ma verso sé, ovvero nel ricercare la conferma di sé stessi. Questo non è un legame circolare che coinvolge integralmente entrambi, o più, parti, bensì è un percorso a senso unico con una conclusione che è la condizione sufficiente e necessaria perché possa essere considerato come realizzato.

Il prossimo diventa un espediente, un mezzo, una prova della propria identità, ovvero del nostro potere.

Questo vale per ogni agire e dunque non è esclusivamente ristretto all’esperienza sessuale.

Si prova piacere, intenso in senso generale, quando le nostre esperienze sembrano combaciare con le nostre rappresentazione o aspettative. Ovvero quando sembra che il nostro potere venga confermato.

La contrario quando ciò non avviene si prova dolore. Questo avviene quando non si ha il controllo del coro come si desidera, quando il prossimo non soddisfa il nostro volere, o quando anche altri possono casare quello che sembrava essere un nostro esclusivo effetto o più in generale: quando la realtà è in disaccordo con le nostre aspettative.

Possiamo comprendere meglio con l’esempio della relazione sessuale.

Delineamo due scenari:

1) il soggetto crede che il rapporto verta al raggiungimento del proprio coito;

2) il soggetto crede che il rapporto verta al causa il coito al partner.

Il coito qui rappresenta la realizzazione o il fine della relazione, così come abbiamo visto in precedenza.

Nel primo caso il soggetto proverò piacere, quindi confermerà la propria identità, quindi la rappresentazione che ha del mondo su cui ha potere, se e solo se raggiunge il coito.

Nel secondo caso, invece, ciò si attua se e solo se il partner raggiunge quello stato di godimento, che soddisfi le condizioni che le proprie rappresentazioni chiedono.

Però leggendo con attenzione possiamo notare che in realtà, il secondo caso è inglobato nel primo, poiché l’attenzione e il focus è posto sull’affermazione dell’identità del soggetto. Il partner diviene semplicemente un mezzo per poter affermare o meno tale rappresentazione.

Contrariamente se il partner o il soggetto stesso non raggiungo tale condizione l’identità del soggetto vacilla e si manifesta il dolore. La stessa condizione si presenta quando il partner prova, o si crede che provi, piacere con un’altra persona. In questa situazione il dolore si manifesta, perché viene a rompersi la credenza di essere l’unica, sola e necessaria causa del piacere del partner. Ovvero non si è più titolari e i soli in potere di causare tale effetto.

Lo sguardo del soggetto è rivolto verso sé.

Breve nota:

Non c’è agire che possa essere considerato come morale tout court nella dimensione identitaria o dell’avere, in termini froomiani. Tutto parte e ritorna dal e verso l’io, con il prossimo, o il mondo, che figura come mezzo di prova per l’affermazione dell’identità.

Però come già abbiamo visto, il mondo non è fatto per noi, d’altra parte per come abbiamo affrontato il problema c’è sempre stata una impostazione di gioco: “il mondo è come se fosse fatto per noi”. Dunque l’identità, o meglio, l’esistenza nella modalità d’identità o d’avere, dove quindi domina la credenza del potere sul mondo, si costruisce e si fonda su un’illusione. In questa modalità tutto è apparenza.

Apparenza è ciò che si mostra ad una coscienza e ciò che si mostra si presenta sempre rappresentato. L’agire dell’identità è guidato dalle rappresentazioni, e da altro, e ciò implica la necessità di un medium e di un perno di riferimento. Il riferimento è l’io, l’identità è un suo prodotto e ciò cui crede di essere poiché esperisce un (illusorio) potere su quest’ultima.

Il mondo, che è parte dell’identità, sembra esistere solo perché è fondato e giustificato ai fini dell’identità del soggetto.

La rappresentazione non è il rappresentato, la realtà del soggetto non è esattamente così come il soggetto la esperisce, bensì è parziale e relativa al soggetto stesso.

L’apparenza consiste in una chiarezza illusoria con la quale il soggetto si persuade della veridicità della rappresentazione soggettiva, che viene assunta come verità fondata e giustificata.

L’assunzione l’abbiamo già vista: la teleologia soggettiva.

In conclusione è bene fare un breve riassunto.

L’identità consiste in un sistema, quindi in una unità complessa di relazioni che si regge e sostiene autonomamente.

Questo sistema è composto da relazioni causa che hanno l’io come precedente necessario dell’effetto e che deve auto affermarsi, ovvero deve continuamente confermare la stabilità delle sue relazioni. In poche parole deve affermare che è identico a come si rappresenta.

La realtà è relativa al soggetto, ovvero non è assoluta, bensì modellata a seconda delle rappresentazioni che il soggetto creare relazionandosi.

Le rappresentazioni sono fondamentali e necessarie affinché ci possa essere un agire. Qui serve una breve nota: le rappresentazioni non devono essere coscienti per poter guidare il comportamento del soggetto, bensì posso essere anche inconsce. Però perché possa muoversi, quindi cambiare nel tempo e nello spazio, un soggetto deve necessariamente orientarsi con le rappresentazioni. Queste potremmo descriverle anche come serie ed insieme di regole, ordini e vettori, che guidano il vivere. Inoltre le rappresentazioni non posso che essere illusorie, però non in quanto oggetti inesistenti. Le rappresentazioni sono reali e possono essere esemplificate come mappe. La mappa non è il territorio, così come la rappresentazione non è il rappresentato. Però così come la mappa viene creduta il territorio, così la rappresentazione viene creduta il rappresentato, a causa del suo effetto di normalizzazione.

Il soggetto dunque agisce sempre mediante “mappe” o “istruzioni”.

In ultima analisi dolore e piacere dunque non sono altro che il riuscito o il fallito soddisfacimento di ciò che le rappresentazioni prevedono. Essi alimentano o diminuiscono il potere del soggetto che: consiste nella credenza di essere la causa necessaria di uno o più effetti, ovvero di essere un’identità, quindi essere immutabile nel cambiamento.


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