Ne La Repubblica di Platone viene introdotto ad un certo punto della discussione tra i partecipanti un elemento al quanto particolare e significativo.
Per molti potrebbe essere un semplice elemento costitutivo della conversazione, ma sarebbe una colpa non perdonabile adottare questo tipo di atteggiamento. Leggere Platone, ma in generale opere, va fatto con un certo tipo di impegno e di attenzione sfrenata.
L’elemento un po’ bizzarro e quasi riconoscibile come estraneo è: la censura.
Facciamo un punto della situazione. Platone sta animando uno scambio amichevole tra diversi amici, suoi amici, che vede Socrate come principale interlocutore. Il maestro è chiamato a costruire un percorso che provi a delineare come sia possibile creare, nell’esperienza sensibile, la città ideale.

Secondo Socrate la Città nasce da un reciproco e positivo bisogno sociale tra gli uomini. Successivamente però con il crescere della popolazione, sarà necessario allargare i confini. Qui verrà istituito l’esercito, che verrà diviso in un secondo momento in: Archontes, chi guiderà il paese, ed Epikouroi, ovvero i difensori. Altre due svolte fondamentali sono quelle dell’insegnamento e dell’eliminazione della proprietà privata.
Ogni individuo verrà portato, attraverso l’ausilio dell’educazione, a vertere verso la sua natura e quindi a realizzarsi. La Città giusta è tale poichè si istituisce col fine di tendere o di essere ideale, dunque portando necessariamente ogni cittadino ad essere felice.
Per Platone non sono gli uomini buoni a fare una buona Città, bensì è lo Stato giusto a modellare cittadini giusti, poiché costituenti dello Stato stesso. E’ l’idea dello Stato organicista, se un organismo è sano e buono necessariamente anche ciò che lo compone deve essere sano e buono.

Le parti e il tutto hanno un reciproco rapporto di bisogno, ma le parti possono essere sostituite e il tutto può persistere senza difficoltà.
L’eliminazione della proprietà privata è imprescindibile e dopo quello che è stato detto dovrebbe essere chiaro il perché. Ma faremo lo stesso una piccola riflessione. Se lo Stato è tutti e tutti sono lo Stato, nessuno ha parte dello Stato. Ammettere la presenza di sezioni o di organismi indipendenti entro il proprio territorio è come generare e stimolare la crescita di un tumore. Il singolo cittadino è parte dello e non può avere parte dello Stato.
Tra animali non sorge il problema in quanto non esiste la proprietà, però come afferma Kant negli Scritti Politici: “Il capo supremo deve essere giusto per sè stesso e tuttavia essere un uomo. Da un legno storto com’è quello di cui l’uomo è fatto non può uscire nulla di interamente diritto”.
Ed ecco che giunge la censura, anche se in realtà questa viene trattata assieme all’educazione dei guardiani. Comunque questo elemento commporta numerose riflessioni e conseguenza, nonchè ammissioni riguardo alla possibilità e all’estensione della creazione dell città ideale.
Ribadiamo una cosa:
La Repubblica è un’istituzione e come tale tende a preservarsi.
Questo significa che censurare elementi è necessario affinchè si possa permettere allo Stato di sussistere e sopravvivere. Non bisogna dimenticare che la proprietà privata è stata abolita, però è stata affermata la proprietà comune. Non più io, bensì noi. Ma attenzione come ad un “io” viene a contrapporsi un “tu”, ad un “noi” emerge un loro. Al morire di una identità soggettiva, viene ad ergersi una identità oggettiva-comune. Dunque questo Stato dovrà difendersi dal cambiamento, per continuare ad affermare sè stesso. D’altro canto Platone lo sapeva bene che il cambiamento comporta corruzione, infatti la perfezione risiede nelle idee, ovvero nelle fome sostanziali immutabili.
Ma qui siamo nella sensibilità e tutto muta, dunque è necessario uno strumento che neghi o per lo meno limiti il mutamento della struttura, questo strumento è proprio la censura.
La censura è l’ammissione del fallimento dell’ideale nel mondo sensibile.
Il fallimento delle forme statiche ed ideali nel cambiamento.

Essere meravigliati, o peggio sconvolti, da queste affermazioni significa essere ciechi all’evidenza. Ogni individuo lotta per affermarsi nel mutare della realtà. Questo è ancora più evidente nell’osservare con quanto timore ogni Governo cerchi di mantenere lo Status Quo a discapito di anche semplici riforme. Cambiare fa paura. Platone sembra esserne cosciente.
La censura è un agire contro il diverso o il nuovo.
Per far sì che la Città possa essere ideale deve essere immutabile, ma ciò comporta una limitazione ed un sacrificio dell’essere soggettivo a favore di uno comune.
Ma qui forse troviamo un’ulteriore ammissione. La Kallìpolis non accetta chiunque e non può accettare tutto il mondo. La realizzazione di questa utopia è estesa a pochi. Chiunque si discosta e oltrepassa la censura, ovviamente non può essere parte dello Stato e lo stesso Stato per essere in controllo di sè non può essere infinitamente esteso. La pace e la felicità così viene ad ergersi in eventi locali.
Il mondo non può essere unito ed in pace, ma può essere in pace e diviso.
L’unico mondo in pace quindi può vedere luce solo attraverso la nascita di molte Città ideali.
La possibilità di mettere in atto ciò che è potenzialmente infinito e perfetto è: limitato ed imperfetto.
Ma non per questo bisogna rigettare l’Idea.
L’uomo, inteso come essere pensante, ha un enorme bisogno di guide e anche se la mappa non è il territorio, grazie ad essa possiamo orientarci e non perdere o ritrovare la strada.
Non a caso nella conclusione dell’opera Platone scrive e parla di un modello nel cielo che i filosofi, i veri ricercatori della conoscenza, che sono i designati capi della città, devono seguire.
Due sono le interpretazioni:
La prima che questo modello si riferisca all’idea della città, inteso in un senso platonico di eidos o forma.
Il secondo invece propone di ritenere questo modello come ciò a cui i filosofi devono tendere ed ispirarsi, una sorta di modello utopico irraggiungibile però necessario al fine di promuovere il migliore stato possibile nella vita terrena.
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