“La vita è come un film”.
Questo non è vero.
Le due realtà, quelle della vita e quella dell’arte (film), hanno enormi differenze. Ciò che è espressione artistica ha un motivo, mentre la vita no. Si potrebbe anche dire che il film nasce, emerge dalla creatività umana proprio perché la vita è carente di una qualità che è tendenzialmente solo proprio dell’arte stessa: avere un significato proprio.
Un’opera d’arte nasce sempre per un motivo, ha una ragion d’essere, anche se essa è stata prodotta “a caso”. Spesso emerge in quanto volontà di spiegare o di giustificare la realtà. Questa che viene rappresentata però non è la realtà con la quale noi ci imbattiamo, è per l’appunto una rappresentazione, una traduzione di essa. Invece noi nasciamo senza un motivo, senza volerlo, senza desiderarlo. L’arte nasce da un volere e da una volontà di espressione. Certo anche la procreazione, quasi sempre, è un atto voluto da due individui, però quello che viene a crearsi non può essere definito dai creatori. Inoltre nell’esperienza che caratterizza la vita si incontrano per lo più accidenti, creduti come essenziali, mentre nell’arte tutto è necessario.
Vediamo bene queste differenze in particolare nella cinematografia.
La vita non è come un film. Ma siamo soliti a raccontarlo in questo modo perché ci riteniamo protagonisti della nostra vita e ciò è anche vero. Però al di fuori di noi siamo sempre parte del supporting cast, comparse più o meno importanti nella storia di altri che si reputano protagonisti e che allo stesso tempo, come noi, sono anche comparse.
Ecco forse la libertà sta nella realtà e non nell’arte, poiché qui noi siamo e possiamo ricoprire svariati ruoli, mentre lì ogni personaggio è incatenato al proprio ruolo immutabile.
Concepiamo sempre l’arte come atto della libertà umana, o comunque del soggetto, che esprime e fuoriesce dalle catene del reale.
E se invece l’arte servisse per farci comprendere quanto, e che, siamo liberi?
Se la libertà stesse nella vita “reale” e non dentro l’arte?
Non è l’arte stessa, ma l’atto creativo che rende non libero, bensì consapevole della libertà. E’ errato il focus.

Il protagonista (Will Ferrell) è schiavo della volontà esterna di una scrittrice.
L’opera d’arte non è libera, è incatenata da reti e motivazioni causali determinate ed immutabili. Nel film il succedersi degli eventi è necessario. Tutto ciò che accade in realtà non accade, ma appunto, si succede. I ruoli determinati, predeterminati, rendono schiavi i personaggi ai loro destini imposti da una causa trascendente. L’opera è schiava del creatore. Ed è qui che si svela, si manifesta in tutta la sua potenza la libertà, nel comprendere di, avere il, poter di creare.
Vivere l’arte è necessario per l’uomo, fare arte è necessario per l’uomo. E allora forse dobbiamo correggerci.
L’arte non nasce per via della carenza della realtà, ma per bisogno dell’uomo di concepirsi e di comprendersi come soggetto libero.

Il/i protagonista/i (Nicolas Cage) è incatenato dentro un copione già scritto che si ripete.
Nel confronto con l’opera, l’uomo comprende la sua superiorità, la capacità di poter creare l’opera, di poter intepretare l’opera, di poter giudicare l’opera, di “entrare ed uscire” dall’opera. L’uomo non ha un destino definito, né una forma né un contenuto imposto, mentre l’arte sì.
La vita è contingente è ciò che la caratterizza è l’accidente, ovvero ciò che accade. Non c’è una ragione a priori che definisce il perché di un evento, però il soggetto può rendere tale evento significativo, attraverso la facoltà della fantasia e della immaginazione.
Il processo artistico è la radicalizzazione di questo processo.
Fare arte significa rendere l’accidente necessario.
Fare arte è un manifesto della possibilità, non presente nella stessa arte, di poter vivere più realtà nella unica e sola che abbiamo.
Arrivati a questo punto dobbiamo però rivedere una affermazione fatta in precedenza: l’arte ha un significato proprio.
Ciò è vero, però questo non fa altro che affermare il fatto che la libertà risieda nella vita e che pertanto la vita sia meglio dell’arte.
Perché l’arte possa avere un significato proprio c’è bisogno che ci sia una causa che lo imponga, che quindi lo determini. Questa causa è e può solamente essere l’uomo. Ciò implica riconoscere una superiorità dell’uomo, quindi della dimensione della vita, rispetto all’arte. Poiché l’arte non ha mai creato vita, ma la ha solo rappresentata.
Una contestazione potrebbe essere: “l’arte ha prodotto mondo alternativi, realtà differenti”. Errato. È nella realtà che l’artista ha prodotto un nuovo mondo, che è arte.
Comunque la possibilità di affermare che l’arte abbia un proprio significa è data dal fatto che la vita sia colma e straripante di significato, tanto che permetta di produrre altre realtà cariche di valori.

Il potere, creativo, dell’uomo risiede nel cervello-mente, scintilla divina.
E la principale forma di arte e la più comune è: il linguaggio.
Parlare, descrivere, definire, creare con le parole significa fare vita ad una nuova realtà o ad una nuova visione della realtà. I mondi che vengono messi alla luce attraverso le parole sono dipendenti dal soggetto creatore che ne ha la paternità. Il mondo linguistico che viene plasmato ha le stesse caratteristiche dell’opera d’arte.
Pensare e parlare sono la forma d’espressione essenziale dell’uomo e la primogenea manifestazione della sua libertà. Non a caso il linguaggio è la prima cosa che viene censurata, riformata e schiavizzata nei regimi totalitari e limitativi della libertà.
È importante è necessario curare e far crescere il linguaggio. Esprimersi e comunicare è sintomo della libertà, conferma e manifestazione del potere creativo dell’uomo.
L’arte non è meglio della vita, ma fa sì che la vita possa essere migliore, perché è attraverso la creazione che possiamo imparare a vivere.
L’atto creativo, dunque, permette all’uomo di mettere a confronto la staticità della realtà artistica rispetto alla realtà fluida e di mutamento nella quale è immerso. Si rende consapevole del suo stato di libertà poiché comprende che non possiede una identità statica e definita, bensì si riconosce come costruttore della propria identità mutevole.
L’identità umana non è statica e dunque non è una catena che imbriglia l’uomo ad un destino. L’uomo creando svela l’accidentalità, e la non l’essenzialità, dell’identità stessa che dunque è soggetta a cambiamento ed è libera da catene.
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