Rivoluzione reazionaria

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C’è un qualcosa che sembra assillare continuamente l’uomo: il cambiamento. Una continua lotta al cambiamento ha sempre pervaso la storia dell’umanità, sia in senso figurato sia, soprattutto, in senso letterale.

L’uomo è abitudinario. Si abitua e si adegua, non ama continui cambiamenti, perché impongo un grande sforzo. L’autismo e la sindrome di savant, sembrano essere una condizione esasperata dell’uomo, mettono un risalto l’incapacità di adattarsi alla novità. Una stanza è quella stanza finché il sistema rimane invariato. Spostare un telecomando significa creare una nuova realtà, anche solo questa piccola variazione, per un savant, comporta una sforzo insopportabile di adattamento. Ovviamente la scelta più semplice è ripristinare il sistema originario. Il cervello umano, non affetto da queste sindromi, è come si anestetizzasse volontariamente in modo parziale. Ovvero non prende in considerazione o “sul serio” gran parte della realtà. Questo significa che piccoli cambiamenti non vengono considerati come tali, quindi snobbati.

Bisogna dire con tutta sincerità che ci sono grandi vantaggi, ma anche enormi svantaggi in questa “normalità”. Sicuramente non essere affetti da ogni novità comporta una facilità nell’interazione con la realtà, poiché si evita un sovraccarico di nozioni e si ha dunque la capacità di razionalizzare la nostra attenzione. Il savant o l’autistico invece ha una incredibile ipersensibilità che comporta un accumulo altissimo di stimoli in pochi secondi. Il cervello umano però non è in grado di supportarne e sopportarne così tanti momentaneamente. Il risultato è la crisi.

Però sull’altro lato della bilancia troviamo un enorme svantaggio del nostro cervello sonnolente. La difficoltà di percepire il cambiamento. Ci adattiamo, ma soprattutto ci abituiamo e rendiamo insignificante e invisibili gli stimoli esterni a cui siamo soliti incontrare, o su cui solitamente ci focalizziamo e tralasciamo ciò che non siamo abituati a percepire. Forse chi ha problemi siamo “noi” e non gli autistici. Infatti la nostra vita ci sembra sempre monotona, ci lamentiamo che nulla mai cambia. Sempre lo stesso Governo, lo stesso lavoro, lo stesso partner, la stessa casa, la stessa vita… Ci sembra sempre tutto lo stesso, tutto statico. Non siamo in grado di percepire il cambiamento, troppo spesso. Quindi notiamo solo ciò che fa parte della routine che ci è imposta o che ci siamo costituiti. Le novità dentro di essa sono irrilevanti. Perciò per sentirci diversi, nuovi, migliori o peggiori non basta un taglio di capelli, cambiare casa, amici, partner… non basta mai, perché non cogliamo nulla di ciò che ci è estraneo. Non lo sopportiamo il “nuovo”, così come gli autistici. Loro perché iperstimolati, noi perché addormentati, abituati e pigri.

Comunque in un modo o nell’altro, l’uomo soffre il cambiamento.

Certo si vuole cambiare, le rivoluzioni sono un segnale manifesto della volontà di operare novità, eppure

dietro ogni rivolta si cela un desiderio di imporre uno status quo.

Quante volte ci è capitato di cambiare arredo in casa e poi mangiare la mano a chiunque cercasse di modificare qualcosa? La storia insegna, non tutto, ma insegna molto. L’esempio più famoso è quello della rivoluzione francese. Anima della lotta per l’uguaglianza e per la libertà che sfociò sino al terrore e alla repressione. Perché era giusto che chiunque la pensasse diversamente, chiunque fosse contro la libertà e l’uguaglianza, meritasse la morte. Non bisogna scavare molto a fondo per comprendere che uccidere per la libertà e l’uguaglianza sia una follia. È come predicare contro il razzismo e poi schifare il prossimo perché è diverso.

Il focus è già stato esposto: l’uomo rifiuta il cambiamento e se lo promuove è solo per imporre un nuovo sistema, che poi dovrà essere conservato contro il cambiamento stesso.

La novità, in poche parole, è scomoda. Comporta un dispendio di energie. Ma il problema pricipale è che l’uomo sente perde il proprio potere. Cambiando il sistema, cambiano le relazioni, dunque viene a smascherarsi quella credenza-illusione di essere la causa necessaria di ciò che accade. Viene a modificarsi la propria identità.

Facciamo un esempio, prendiamo in considerazione la pena di morte. Prima che ci fosse una rivoluzione culturale e giuridica, soprattutto il monarca, poteva condannare alla gogna chiunque volesse. Era causa necessaria della vita o della morte delle persone. Introdotta l’abolizione il monarca perse questo potere (che attenzione però lui di natura non ha mai effettivamente avuto), dunque si svelò la sua impotenza. Lui non era più quello di prima. Lo stesso sta accadendo con i movimenti LGBT e la parità di sesso. Se prima l’uomo, essere umano, era (comunemente considerato a livello meramente sociale) come etero e bianco, in particolare, ora riconoscere anche l’omosessuale come uomo allo stesso livello dell’etero sessuale comporta una perdita di identità di chi considera essere uomo solo se si è etero, ovvero la credenza comune. Non è altro che questo il motivo di tanta ostilità. “Io so di essere uomo perché mi riconosco tale solo in questo modo, ma se ora uomo è anche chi è in quell’altro… Chi sono effettivamente io? Sono lo stesso di prima?”. Questo non giustifica, ma spiega e basta il perché di tanta ostilità.

Tutti i dolori e le gioie, non sono altro che conseguenza della raggiunta o perdita del potere, ovvero della convinzione di essere causa necessaria di qualcosa, quindi ciò che noi reputiamo la nostra identità.

Possiamo dunque riaffermare, con più certezza di prima, che l’uomo abbia naturalmente una tendenza reazionaria, una tendenza a proteggere le proprie convizioni. Dunque anche le rivoluzioni in realtà potrebbero essere smascherate e correttamente dichiarate come movimenti reazionari. Semplicemente vengono identificate come rivoluzioni perché contrapposte ad una ideologia comune, o meglio, egemone o predominante in una data società o cultura. Però quelle idee e credenze “nuove” che vengono proposte, sono per chi le propone ciò che costituisce la propria identità. Ergo l’azione rivoluzionaria è tale solo per chi la pensa differentemente, mentre per chi condivide quel pensiero l’azione è (espressione da prendere con delicatezza e sensibilità in vista del constesto argomentativo) reazionaria.

Anche i rivoluzionari in realtà sono reazionari, ma semplicemente contrapposti ai reazionari dominanti.

Ci saranno guerre, razzismo, segregazioni, torture, lotte ed ingiustizie finché non impareremo a lasciare andare, a capire che tutto cambia. La nostra identità crea necessariamete una lacerazione nel mondo, separa ciò che naturalmente non è diviso. Si viene a creare un io e un tu che divengono antagonisti, nel senso che si scontrano. In questa frammentazione, a causa della rottura volontaria della realtà emergono le lotte di potere, ovvero di conservazione dell’identità e spesso anche di espansione della stessa.

Dunque finché l’uomo non sarà in grado di accettare il cambiamento, ogni rivoluzione, ogni guerra, ogni lotta, sarà solo un altro passo vano verso una nuova forma reazionaria “più libera di quella precedente“.

O come afferma Schopenhauer ci sarà dolore nel mondo finché ci saranno identità nel mondo.


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Una replica a “Rivoluzione reazionaria”

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