L’argomento a richiesta di oggi è la “resilienza”.
Visto che più che argomento, oggi è la “parola del giorno”, vorrei iniziare con la sua etimologia, cercando di capire da dove provenga e che significato abbia.
Dal latino “resilens – entis” participio presente di “resilire” ovvero rimbalzare. Riassumendo tutti i significati che questa parola incarna nei svariati ambiti nei quali viene usata, si può dire che indichi la capacità di mantenere o ritornare allo stato iniziale dopo aver subito un trauma o un colpo. Qui userò le parole trauma, urto e colpo come sinonimi.
Bisogna dunque tenere a mente la sua origine etimologica, “rimbalzo”, e il fatto che indichi un ritorno allo stato inizale. “Rimbalzo” potrebbe avere qui due modi nei quali permea tutt’ora la parola resilienza. Uno è quello di intendere la resilienza come il far rimbalzare l’urto che si subisce, così allontanandolo e conservando se stessi. Il secondo modo potrebbe essere quello di vedere la resilienza come un rimbalzare nello stato iniziale dopo avere subito un trauma. Un altro aspetto che vorrei sottolineare, è quello che riguarda il “ritornare ad uno stato iniziale”. Per ritornarci bisogna presupporre dunque che si abbia coscienza di quello stato iniziale, quindi di una identità. Chi non ha una qualche identità o coscienza di sè difficilmente sarà resiliente. Direi forse che è impossibile.
Nel secondo modo di intendere il rimbalzo della resilienza sorge però un problema. Ovvero il fatto che non si conserva integralmente l’identità, bensì dopo aver subito un trauma ed aver cambiato il proprio assetto, si torna allo stato iniziale. In questa discussione è da evitare questa prospettiva perché implica un ritornare dove è necessario sia la memoria che l’immaginazione per ricreare la propria identità. Ecco è proprio questo il punto, in questo caso si ricrea il proprio sé, ma non lo si conserva o protegge dal trauma.
Quindi la resilienza è il far rimbalzare un urto conservando la propria identità, capacità però possibile solo per chi ha una coscienza di sé.
Cerchiamo di vedere cosa non sia resilienza, per poi definire meglio come si è effettivamente resilienti.
Sopportare un peso o un dolore non riguarda il nostro discorso, per il fatto che in questo caso non si fa “rimbalzare” un trauma, ma lo si sostiene. Equivale a dire di portare un fardello.
Non significa neanche combattere un problema, perché implicherebbe uno scontro, mentre nella resilienza c’è una sorta di fermezza e resistenza ad un urto. Non lo si spinge via, bensì viene respinto dal nostro essere fermi.
Non si scappa dal problema, né lo si evita, perché questo significa solo rimandare l’urto. Inoltre questo vorrebbe dire che essere resilienti implichi una paura del trauma, cosa che invece non succede. Anzi con essa avviene il superamento del colpo.
Dunque per essere resilienti bisogna affrontare i traumi, resistere ad essere e mantenere “integri” se stessi, ovvero coscienti del proprio agire.
Un esempio utile per capire bene è quello dei materiali. La resilienza di un materiale, viene definita a seconda della sua capacità di resistere ad una pressione, senza subire danni. Per esempio quando proviamo a piegare una sbarra di ferro. Lo stesso vale per noi esseri umani. Se non affrontiamo i nostri problemi non possiamo essere resilienti, ma siamo dei fuggitivi, per esempio.
Come si è visto nelll’esempio il ritornare alla stato iniziale, non implica uno smarrimento o perdita della propria identità, anzi forse la rafforza. La sbarra di ferro torna ad essere retta, dopo che le è stata imposta una pressione, perché ha coscienza di come è. Ovviamente qui il linguaggio è puramente metaforico. Ma proprio quel fatto di essere sottoposta ad una forza esterna mette la sbarra nella condizione di capire cosa essa non sia e di riprendere o aumentare quella autoconsapevolezza. Questo significa che le sfide, i problemi, i traumi possono essere e sono ciò che più di tutto ci aiutano a definirci e a creare il nostro modo di vivere. Ecco l’importanza della resilienza, questa ci mostra e ci permette di dimostrare come reagiamo agli stimoli. Niente più di decidere come reagire ci può rendere liberi ed indipendenti.
Questo periodo traumatico può, e per certi versi deve, essere sfruttato come un’occasione per definirci e aumentare la nostra responsabilità ed indipendenza.
(DIRITTI RISERVATI, NON RIPRODUCIBILE)
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